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Rembert Eufe (München)

 

Politica linguistica della Serenissima: Luca Tron, Antonio Condulmer, Marin Sanudo e il volgare nell'amministrazione veneziana a Creta*

 

Linguistic politics of the Serenissima: The use of the volgare in the venetian administration at Creta
This article treats the linguistic policy in the Venetian Republic, referring to sources which until now have been paid little attention. Among these sources is an order to the Chancellery in Venetian Crete, from 1498, to use only the volgare. It was then cancelled a few months later by the Venetian Senate. The order was given by Luca Tron, syndic in the Levant, and in chapter 2 the importance and function of his position is explained. Chapter 3 goes on to provide information on Tron's person and that of the Venetian historiographer Marin Sanudo, who proposed the cancellation. Antonio Condulmer, a successor of Tron, then intervened in 1502 to establish the exclusive use of Latin, as can be seen in chapter 4. Chapter five gives a description of the linguistic form used in the records of the Cretan archive and it goes on to show the influence that the above mentioned decisions had upon it. The Venetian measures are discussed in terms of explicit and implicit language policy and are compared with other examples of European language dispositions before 1600.

 

In questo articolo sono in primo luogo presentate alcune fonti di ordinamenti linguistici della Repubblica di Venezia. Tra essi una disposizione del sindico di Levante Luca Tron, che nel 1498 ordinò all'amministrazione veneziana a Creta di usare esclusivamente il volgare per gli atti scritti. Questa decisione fu però cancellata dal Senato a Venezia su iniziativa del Duca di Candia e secondo una proposta di Marin Sanudo. Poi nel 1502 un successore di Luca Tron, Antonio Condulmer, prescrisse agli ufficiali cretesi di usare soltanto il latino.

Per permettere una valutazione adeguata di questi avvenimenti, i primi quattro capitoli forniscono notizie sulla carica di sindico di Levante e sui tre politici veneziani coinvolti. Nel quinto capitolo viene delineata la situazione linguistica a Creta con brevi accenni ad altre parti del territorio veneziano, unitamente ad un esame di altri documenti (registri notarili, sia privati che di cancelleria) per verificare l'applicazione degli ordinamenti nella prassi. Negli ultimi due capitoli gli ordinamenti sono discussi sulla base della distinzione tra politica linguistica implicita ed esplicita e confrontati con altri esempi europei di quei tempi.

 

1 Un ordinamento amministrativo di Luca Tron per Creta e il suo annullamento

Per la storia linguistica di Venezia si rivela di notevole interesse la seguente delibera, conservata nell'archivio di stato di Venezia:1

 


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Die xiiij Ianuarii [M CCCCC mv]/ Duche et consiliariis Crete et succ(essoribus) / 2Per vostre lettere de do del mexe p(ro)xime passato ne dechiarite particularme(n)te alcune / innovation facte de lì p(er) el nobel homo s(er) Lucha Trun olin Syndico de Levante v(idelicet) che / quelli camerlengi debano far li incanti et delivrason de stabeli et mobeli de i zen/tilhomeni feudati, citadini et altri contra la forma del xviijmo cap(itu)lo de la co(m)missio(n) / v(ost)ra et concession facte a quelli zentilhomeni feudati contra la p(ar)te del n(ost)ro gra(n) conseio.

Item dicto syndico haver terminato che tuti nodari de quella cancellaria et altri / offitii nec no(n) el cancellier gra(n)de de cetero scriver debano tuti li acti sui vulgari / sermone come più particularme(n)te i(n) dicte v(ost)re et i(n) li inclusi exempli se co(n)tien / unde essendo le p(re)dicte cosse contra la forma de le leçe, ordeni n(ost)ri et consuetudine / nec no(n) cu(m) murmuration de quelli fidel(issi)mi n(ost)ri come scrivete: Ne ha parso scrive(r)vi / le p(rese)nte cu(m) el senato n(ost)ro: co(m)mandandove che no(n) obstante le terminatio(n) del dicto / syndico i(n) le sup(er)scripte cose: Qual nui cassamo et annullamo debiate retornar / tuto in pristinu(m) si che circa le predicte materie observar se debi qua(n)to p(er) ava(n)ti / se observava secondo la forma de le leçe et ordeni n(ost)ri et le co(n)suetudine fin / qui observate

Nota q(uod) cu(m) in sup(er)s(crip)tis litt(er)is continea(n)tur due p(ar)tes v(idelicet) una circa revocar la terminatio(n) / del scriver p(er) vulgar et l'altra che li camerlengi debano far l'incanti etc(etera). Dicti / do capituli forono ballotadi a uno a uno et prima

De revocar la termenation de scriver per vulgar

De parte 66 + 74

De non 9 0

Non sync(eri) 0 1

Volu(n)t q(uod) cu(m) hic expectentur oratores illius civitatis p(rese)ns materia differatur usq(ue) ad / adve(n)tu(m) ip(s)or(um) orator(um) ut res melius deliberari possit 66 71

Secu(n)du(m) capitulu(m) circa l'incanti da esser facti p(er) li camerlengi no fo ballotado ma di/fferito ad un'altra volta per esser l'hora tarda

Oggetto della delibera sono due ordinamenti del Sindico di Levante Luca Tron che vennero annullati dal Senato in seguito ad un'iniziativa del Duca di Candia il 2 dicembre 15003. Il secondo dei due ordinamenti indicava quale lingua scritta dovesse essere usata dall'amministrazione veneziana a Creta: Luca Tron decretava che tutti i documenti dovessero essere redatti in volgare.

Nel testo del Senato colpisce immediatamente l'espressione "contra la forma de le leçe, ordeni n(ost)ri et consuetudine", che suggerirebbe una legislazione linguistica precedente. Si tratta comunque di una formula presente in molte altre delibere veneziane e testi simili. Naturalmente non si può escludere che esistessero direttive a tal riguardo: allo stato attuale delle nostre conoscenze, tuttavia, sembra che a quei tempi avesse valore vincolante solo la consuetudine.

 


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Non è chiaro inoltre chi fossero i "fidelissimi nostri" di Candia che avrebbero reagito con malcontento all'ordinamento – si tratta dei sudditi in generale o degli impiegati della Serenissima che preferivano continuare ad usare il latino? La scelta del termine "fidelissimo" farebbe pensare alla seconda ipotesi, visto che sia nei documenti del fondo Duca di Candia che nei libri officiali vengono spesso usate le parole "fedel, fedeltà" e simili per designare gli aspiranti a promozioni nel cursus honorum dell'amministrazione veneziana: ad esempio, in un caso si parla di "meri(ti), suffi/cientia, bontà et fedeltà del fideliss(im)o / di sua ser(eni)tà m(esser) Zorzi Varello f(rate)llo di / m(esser) And(re)a nod(ar)o n(ost)ro ducale"4, quindi il termine "fedelissimo" veniva adoperato dalla signoria per coloro che erano al suo servizio. Anche se in un altro uso, questo attributo compare nel resoconto di un'ambasciata di signori feudali cretesi che si definiscono "noi fidelissimi della / v(ost)ra sublimità gentil huomini et feudati di Candia"5 e menzionano anche gli altri strati della popolazione, designati come "questi / fideliss(i)mi populi n(ost)ri", visto che "Loyalty was the keynote of Chancellery service, and secretaries gloried in the title 'fidelissimo'" (Neff 1985: 87).

 

2 I Sindici di Levante veneziani

Si può comprendere fino in fondo l'importanza dell'ordinamento di cui stiamo discutendo soltanto se si conoscono a pieno il rango ed i compiti dei Sindici di Levante della repubblica di Venezia. Si tratta infatti di ispettori che viaggiavano nei territori veneziani su incarico del senato, più tardi anche del consiglio di dieci, per controllare gli impiegati coloniali ed eventualmente correggere le ingiustizie da essi commesse. Controllori di questo genere esistevano anche in forme statali più antiche, ad esempio presso i Franchi e i Longobardi, ma anche ed in particolar modo presso gli antichi romani (missi) e nell'Impero Bizantino (Dudan 1935: 25). Il termine "sindico" è di origine greca e nell'antichità indicava diverse funzioni di difensore ed ambasciatore. Presso gli antichi romani esisteva inoltre un "avvocato del popolo" che veniva inviato dall'imperatore o dal governatore a rappresentare gli interessi di una città. Nel 364 Valentiniano creò la carica del defensor civitatis, che proteggeva i ceti più umili. Accanto al termine defensor veniva utilizzato anche quello di syndicus, poi prescelto dai Bizantini. La funzione principale di questa carica venne mantenuta anche dai Veneziani: "E' per noi interessante notare come a Venezia nel concetto di sindicato si trasfuse dall'antichità romana il concetto di rappresentanza e di difesa degli interessi non solo dell'ente mandante, ma anche del ceto umile." (Dudan 1935: 33–34)6 Si badi che per altre autorità minori della repubblica di Venezia veniva utilizzato ugualmente il termine di "sindico", benché esse non avessero niente a che vedere con i sindici di Levante, di cui stiamo parlando. I cosiddetti "sindici di terraferma" si distinguevano dai sindici di Levante solo per il diverso territorio operativo e per il fatto che questa carica era nata in seguito all'espansione territoriale della repubblica di Venezia sulla terraferma, successiva a quella di oltremare.

 


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Normalmente i Veneziani raggruppavano sotto il termine di "Levante veneziano" le isole ioniche, la Morea, l'Attica, il Negroponte, numerose isole minori del mar Egeo, il regno di Candia e quello di Cipro, escludendo invece la Dalmazia e l'Albania. Così facendo si discostavano dall'uso medioevale dell'espressione, secondo il quale, dopo l'accordo tra Carlo Magno e Nikeforos, con "Levante" si intendevano tutti i territori situati ad est del mare Adriatico. Questo non valeva comunque per i sindici di Levante, che si occupavano anche della Dalmazia e dell'Albania, mentre l'Istria era di competenza dei sindici di terraferma. La distinzione tra i due tipi di sindici era divenuta necessaria a causa dell'estensione sempre crescente dei territori della repubblica, che avrebbe allungato di troppo i tempi dei viaggi di ispezione (Dudan 1935: 65–69). Anche se da una fonte del 1529 risulta che ad un sindico di mare non era consentito viaggiare per più di due anni a spese della signoria, i viaggi superavano spesso tale durata – non è difficile comprenderne il motivo se si prende ad esempio la missione che rimase a Cipro sedici mesi, invece dei dodici previsti, per mancanza di mezzi per continuare il viaggio (Dudan 1935: 103–104). La base legale dei sindici era la loro "commissione", che era sempre simile, ma mai del tutto identica, a quella dei loro predecessori (Dudan 1935: 120). Il loro strumento principale era l'"intromissione", ossia la possibilità di sospendere una sentenza e di rimetterla ad un'istanza superiore inoltrando un documento scritto agli organi governativi veneziani (Dudan 1935: 62, 73–74), "una delle chiavi di volta dell'edificio processuale della Repubblica veneta" (Dudan 1935: 15); oltre a ciò, i sindici potevano emettere essi stessi le sentenze. L'indagine sui singoli casi veniva eseguita tramite interrogatorio o "inquisizione" (da cui il termine di "sindici inquisitori") di almeno dodici cittadini scelti (a Creta "tam grecis quam latinis", nel qual caso si poneva il problema di un'eventuale traduzione), che dovevano, se non scrivere, almeno dettare ad un notaio7 le loro deposizioni e se possibile firmarle. Nel quindicesimo secolo, a Creta, sono accertabili almeno una dozzina di ispezioni effettuate dai sindici. Non si possono comunque escludere cifre più elevate, soprattutto per gli altri territori del Levante. Altre fonti parlano di venti sindicati d'oltremare, sempre per il quindicesimo secolo, durante il quale si passò anche all'elezione dei sindici ogni cinque anni, invece che ogni quattro come in precedenza (Dudan 1935: 81–82).

La carica del sindico era "ufficio faticoso, laborioso e pesante, sempre considerato tra i più alti e degni della Repubblica" (Dudan 1935: 73). Durante i loro viaggi, che miravano principalmente alla "razionalizzazione amministrativa e di pacificazione sociale" (Viggiano, 1993: 149), i sindici dovevano soprattutto portare giustizia ai ceti più umili, giudicando su semplici sudditi, ma anche e soprattutto su impiegati veneziani locali come i rettori (nell'isola di Creta presenti a Cania, Rethymnon e successivamente anche a Sithia), i camerarii, i castellani, i provvisori, i governatori, i cancellieri ed altri (Dudan 1935: 122). L'uso della lingua veniva adattato in maniera conforme a questo aspetto, visto che in un trattato anonimo sui compiti dei sindici, pubblicato verso la metà del diciannovesimo secolo in appendice all'Itinerario di Marin Sanuto per la terraferma veneziana nell'anno 1483, si legge che già prima del loro arrivo nella città predestinata i sindici dovevano promulgare una proclamazione "vulgari sermone" da ripetere al loro arrivo effettivo; questo il suo contenuto:

 


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De commandamento de Magnifici et Cl.mi SS.ri per il Ser.mo Ducale Dominio di Venetia, Onorandi Auditori delle Sentenzie, Avogadori, Proveditori et Sindici generali de Terraferma, a tutti sia noto e manifesto che sel8 fussi alcuna persona che se volesse lamentar e gravarsi d'alcune estorsion, violentie, manzarie, trabutamenti, over altri mensfatti (sic) commessi per li spettabili Signori Potestà e Capitani, Camarlinghi, Vicarj, Zudesi, Cancellieri, Contestabili, Cavalieri et altri delle loro famiglie, over de alcuni altri Officiali per ogni casone, intendendo tanto de presenti quanto delli passati; over sel fussi alcuna persona che volesse appellarsi de alcuna sententia, condannason over altro atto judiciario: debba comparir avanti li prefati Signori Auditori, Avogadori, Proveditori e Sindici generali infra termine de dì otto prossimi che die vegnir in palazzo in casa della loro residenza cum fermissima speranza di ricever compimento de rason e giustizia, perchè è così la espressa intention della prelibata Ill.ma Signoria Nostra. (Brown 1847: IV–V, menzionato in Viggiano 1993: 149–150 e Dudan 128–129)

 

3 Il ruolo di Luca Tron e di Marin Sanudo

Anche la figura di Luca Tron dimostra che quello dei sindici di Levante non era un posto subalterno da impiegato di provincia, ma un importante incarico di controllo che veniva altamente considerato dalle personalità più influenti della vita politica veneziana. Finlay descrive Luca Tron, insieme al cugino Antonio (anche il doge Nicolò Tron apparteneva allo stesso ramo della famiglia), come un potente uomo politico veneziano (Finlay 1980: 231–239). Lo studioso si occupa anche del suo viaggio come sindico, che durò dal giugno 1498 al giugno 1500 (la commissione del 17.5.14989 non contiene comunque alcuna istruzione per quanto riguarda l'uso della lingua a Creta), in seguito al quale Tron, "an exceedingly difficult person to deal with", "a fierce debater, impetuous and clever" (Finlay 1980: 239, 233), si era guadagnato la fama di uomo giusto e severo, che faceva abbondante uso della sua autorità e aveva avviato innumerevoli procedimenti contro impiegati coloniali veneziani. La sua influenza sul piano politico si può riassumere con queste parole:

Clear themes emerge from Luca's various concerns: regard for the Senate's authority and opposition to a monopoly on decision making in the executive councils, concern for good administration and clean government, support for the state attorneys, a commitment to equality within the patriciate, and a pronounced assertion of the right to debate and dissent. (Finlay 1980: 238)

Luca Tron era all'avanguardia non solo per quanto riguarda la politica linguistica: il 4.8.1488 propose in qualità di "proveditor di comun" la costruzione di due ulteriori ponti sul Canal Grande. La proposta fu respinta, e solo tra l'Otto e il Novecento sarebbero sorti i due ponti, dei quali quello dell'Accademia è situato esattamente nel punto che aveva indicato Tron (Caracciolo Aricò 1989/2001: 591; ringrazio l'autore per questa informazione). Durante il suo viaggio come sindico fu accompagnato da un certo Piero Sanudo10, con il quale tuttavia sorsero divergenze tali che l'uno si lamentava dell'altro nelle lettere indirizzate a Venezia (Sanudo Diarii III, 69). Degno di nota è il nome del segretario al loro seguito, in quanto si tratta di Girolamo Dedo, figlio del gran cancelliere Giovanni Dedo (Sanudo Diarii III, 839)11. Egli stesso venne eletto a gran cancelliere nel 1524, per la qual cosa Pietro Bembo si congratulò con lui in una lettera che contiene riferimenti alla loro pluriennale amicizia (Neff 1985: 278, 420–421).12

 


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Come è annotato in margine nel registro delle sentenze senatoriali, Marin Sanudo aveva avuto parte nella decisione del senato riguardante l'ordinamento di Tron. Sanudo menziona la vicenda nel terzo dei 58 volumi dei suoi Diarii, e riporta la data del 29.12 come quella dell'arrivo della lettera da Candia:

Di Candia, di sier Marco Barbo e consieri, di do decembrio. Scrive aver trovato tre desordeni, fati lì per sier Lucha Trun, olim13 synicho, videlicet: che li camerlengi debano far l' incanti e delivrasom di stabeli e mobeli di zentilomeni feudati, citadini e altri, contra la forma dil capitolo 18 di la sua comission, exequita dal 1436 in qua, et contra la parte 1489, 4 april, presa in gran conseio, che vol, li synici non toy l' autorità di algun rezimento, sub pœna etc. Item, l' altro disordine è là14 fato, che algun nodaro di la canzelaria e altri oficii, e il canzelier grando de lì non fazi algun acto, latino sermone, ma fazi in lingua materna; e di ziò la cità riclama. (Sanudo, Diarii III, 1235)

Una prima riunione sul caso tenutasi il 4 gennaio venne rimandata ad altra sessione:

Fu posto per Jo15, Marin Sanudo, savio ai ordeni, scriver al ducha e consieri di Candia, certa letera di revochation di ordeni do, fati per sier Lucha Trun, olim synicho. Et el dito andò in renga. Rimessa tal materia a un altro conseio, perchè l'ora era tarda. (Sanudo, Diarii III, 1254)

Al secondo tentativo, il 14 gennaio, fu presa una decisione in materia di lingua volgare:

Fu posto per mi, Marin Sanudo, savio ai ordeni, la letera al ducha e consieri di Candia, di la revochation di do ordeni, fati de lì per sier Lucha Trun, synicho: videlicet zercha il vender di beni etc., contra il capitolo di la soa comission, et di la parte dil gran conseio, 1489; et l'altra, zercha tutti di Candia, e il canzelier grando, scrivino vulgari sermone etc. Et sier Cabriel Moro, ser Francesco Donado e sier Jacomo Cabriel, savii ai ordeni, messeno de indusiar fino verà li oratori di Candia. Et primo andò in renga el Cabriel, et mi convene andar a risponder. Poi parlò esso sier Lucha Trun, et perchè l' hora era tarda, dovendo Jo parlar sopra il primo capitolo, termini balotar solum il capitolo di scriver vulgar. Et cussì andò le parte. Et fo terminato per la Signoria, potesse meter, e visto la leze. Et fo niuna non sincera, 9 di no, di l' indusia 66, di la mia 66, et nihil captum. E iterum balotà, ave niuna non sinciera, una di no, 71 di tre savii, di l' indusia, 74 la mia. Et fo presa.

(Sanudo, Diarii III, 1294–1295)

 


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La disinvoltura con cui Sanudo tratta l'argomento farebbe escludere che vi siano stati grossi dibattiti sulla questione. Tuttavia dobbiamo considerare che la proposta dello stesso Marin Sanudo venne sì accolta, ma solo dopo il secondo turno elettorale, mentre al primo turno un numero non esiguo di votanti si pronunciarono per la convocazione di una seconda riunione. In entrambi i turni i risultati furono piuttosto equilibrati, per cui, anche se Sanudo nega che si fosse svolta una discussione, è almeno chiaramente riconoscibile l'esigenza di ulteriori informazioni da parte dei senatori. E' notevole il fatto che Sanudo, che aveva lui stesso intrapreso un viaggio come sindico di terraferma (descritto nel volume "Itinerario per la terraferma veneziana" in volgare veneziano, cfr. Brown 1847), si sia pronunciato contro l'imposizione del volgare come lingua ufficiale, visto che nonostante le sue velleità umanistiche disponeva di una "incerta conoscenza della lingua latina" (Caracciolo Aricò 1989/2001: LXII)" e per la stesura della sua monumentale opera annalistica, i Diarii, prescelse un veneziano cancelleresco16, traducendo addirittura in questo idioma testi redatti originariamente in volgare fiorentino (Cozzi 1997b: 104). La scelta del volgare è motivata dall'autore con un'argomentazione già sfruttata da Dante nel Convivio, ovvero la possibilità di allargare in tal modo la cerchia dei lettori (Cozzi 1997a: 21–22, 1997b: 97–98, Tomasin 2001: 165), argomentazione che Sanudo riutilizzò anche nelle Vite dei Dogi e nella Spedizione di Carlo VIII in Italia (Cozzi 1997b: 97). Se si considera che quest'ultima opera venne pubblicata anche in versione latina, che Sanudo conosceva e usava anche il fiorentino (Cozzi 1997b: 97), che nei suoi Diarii utilizzò un "amalgama di due sistemi linguistici diversi, quello veneziano e quello della tradizione letteraria basata sul toscano" (Lepschy 1996: 48)17 e che intorno al 1500 frequentava l'Accademia di Aldo Manuzio18 – il quale contribuì in maniera decisiva, con i suoi libri a stampa, alla diffusione del volgare fiorentino19 –, Marin Sanudo può essere considerato il difensore di uno status quo plurilinguistico a Venezia del quale facevano parte sia una tradizione storiografica in volgare risalente alla metà del quattordicesimo secolo (cfr. Thiriet 1954), sia la prima ricezione della poesia toscana, e che veniva rafforzato dal teatro veneziano, anche e soprattutto nel sedicesimo secolo. Questo "universalismo poliglotta"20 valeva d'altronde anche per Pietro Bembo, che oltre a produrre opere italiane e latine poetava in greco e studiava il provenzale, trascurando solo il veneziano (Elwert 1979: 286).

Sarebbe naturalmente utile avere a disposizione, oltre alle testimonianze di Sanudo, anche la lettera di lamentela proveniente da Candia e l'ordinamento dei sindici di Levante. Purtroppo non sono conservate missive del Duca di Candia dell'anno 1500 e nemmeno registri redatti a Venezia con l'elenco delle lettere ricevute o dei resoconti dei sindici. Una traccia si trova unicamente in un "Repertorio di Ordini dei Sindici Inquisitori in Levante" – redatto poco più tardi, come testimonia la calligrafia (di difficile decifrazione) –, dove nell'"Indicceto dell'Indice", tra gli ordinamenti di Pietro Sanudo e Luca Tron, alla lettera L si legge "Latino non se scrivano atti, test(amen)ti etc(etera)", alla lettera T "Terminatti(o)n atestatori e testam(en)ti in volg(a)re " e alla lettera V "Volgar, e non in latin scriver atti, etc(etera)". Nell'indice principale, infine, è annotato: "Non possano li can(cellie)ri della Canc(ellari)a Magg(io)r, canc(ellie)ri del cap(itani)o / altri nod(ar)i et scrivani d(i) offi(tii) scriver niuna litera, / atti, ter(minati)on atestator et testamenti in latino ma in / volgare pena et(cetera)"21.

 


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4 Due anni dopo – L'ordinamento di Condulmer dall'obiettivo opposto

Significativo è il fatto che tra gli ordinamenti del sindico successivo Antonio Condulmer22 riportati nell'"Indicceto" si legga alla lettera L "latinam(en)te li atti notarsi in Canc(ellari)a d(uca)l" e alla lettera N "Nodari d(uca)li come famosi(ssim)i notar latinam(en)te", mentre nell'indice principale sono riportate le seguenti frasi:

Che nodari della Canc(ellari)a d(uca)l come canc(ellari)a famosissema debbano / p(er) honor osservar che se debbi notar latinam(en)te li atti de essa salvo / se il reg(gimen)to volesse ordinar alc(un)a cosa anco in volgare pena de pri/vation di quel nod(ar)o contrafaciente.23

L'ordinamento di Tron venne quindi sostituito da un altro di orientamento opposto, nel quale però il reggimento si lasciava aperto uno spiraglio; evidentemente a quei tempi era già divenuto difficile rinunciare completamente all'uso del volgare.

Anche Antonio Condulmer era una delle personalità politiche più di spicco a Venezia all'inizio del sedicesimo secolo, che nella sua funzione di sindico garantiva giustizia e ordine nelle colonie:

Il C. partì con un lungo elenco di commissioni da parte della Signoria e dalle sue lettere emerge il complesso di problemi che i rettori dell'isola dovevano affrontare: l'organizzazione amministrativa, i rapporti sempre difficili con i Turchi, l'approvvigionamento di grano alla madrepatria reso problematico dalla grave carestia di quell'anno, su cui mandavano allarmati rapporti i rettori di Candia in quegli stessi mesi. Il C., che aveva avuto speciale commissione dal Consiglio dei dieci "per le cosse di formenti", si recò anche a Candia a "syndichar" su tale materia. (Baiocchi 1982: 758)

Pochi anni dopo il suo viaggio come sindico, effettuato nel 1503/150424, Condulmer divenne famoso per il suo rifiuto di un regalo da parte del re di Francia, gesto che nel sedicesimo secolo venne stilizzato come atto di sincero orgoglio repubblicano. Marin Sanudo ci ha lasciato varie testimonianze dei discorsi al senato di Condulmer, che era evidentemente uno squisito ed appassionato oratore:

[A dì 16 aprile MCCCCCV.] Da poi disnar fo pregadi, per el synico, et compì di parlar tutte 7 opposition. Li dia risponder li avochati dil Prioli. Disse esso synico: È tre sorte di ladri, come marioli, come Pessato, e come Camallì etc. Parlò per excellentia; et se dubita, atento la taciturnità, che sarà preso di procieder. (Sanudo, Diarii VI, 149)

A dì 18 [novembre MCCCCCV]. Da poi disnar fo pregadi, per udir la relatione di sier Antonio Condolmer, ritornato synicho de Cypri, qual, per diliberation fata nel conseio di X, dia referir im pregadi; et cussì, avanti el lezer di le letere, andò in renga, et stete 4 horre et meza25 con gran atention di tutti. Et tra le altre cosse, che'l disse, che 4 bone madre havia parturido 4 chative fie: la prima, la prosperità, fè l'invidia; la familiarità, contento; la verità, odio; l'amititia, falsso judicio.

 


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Et poi, venuto zoso di renga, laudato per il principe de more, fo posto parte, per il principe, consieri e tuto il colegio, che'l predito sier Antonio Condolmer, ritornato synicho di Levante, atento el sia ben informato, possi venir im pregadi per tutto septembrio non metando ballota, potendo sollo et con li savij meter parte zercha le cosse di Levante etc. Et ave 15 di no; e fu presa. (Sanudo, Diarii VI, 97)

L'influenza politica di Condulmer diminuì tuttavia proporzionalmente all'avanzare della sua età, e l'ordinamento menzionato sembra indicare in maniera molto concreta come uno dei motivi di questo possa essere ricercato nel "carattere dell'uomo, che ci appare sempre più duro e tradizionalista fino all'inintelligenza" (Baiocchi 1982: 759), visto che con tale ordinamento questo "Catone il Vecchio" difendeva l'uso di una lingua che con il tempo veniva capita sempre meno.

Tuttavia, una tale interpretazione sembra influenzata dalla nostra visione attuale, secondo la quale il subentrare del volgare rappresenta la posizione più avanzata, poiché noi conosciamo l'andamento storico successivo e sappiamo che il latino stava lentamente scomparendo. Questo processo non era affatto così chiaro agli occhi dei contemporanei di Condulmer (si pensi ad esempio alle giustificazioni di Sanudo per la scelta del volgare). Inoltre, tale sviluppo non si svolse in maniera né lineare né unitaria in tutti gli ambiti. A questo proposito, per il sedicesimo secolo è da menzionare il settore giuridico:

Favorire il latino nella redazione di nuove sillogi legislative significava dunque forse prepararne l'inserimento in una nuova e più tecnica visione del diritto, instradando l'esercizio della giurisprudenza verso un vero e proprio professionismo. (Tomasin 2001: 132)26

Vista l'importanza delle leggi per l'amministrazione e l'interazione tra i due ambiti, tenendo anche conto del fatto che l'odierna separazione tra potere esecutivo, giudiziario e legislativo non era ancora valida per la Repubblica di Venezia, sia la disposizione di Condulmer che l'iniziativa di Tron possono essere valutate quali parti di miglioramenti amministrativi. Contrariamente a Tron, tuttavia, il suo successore Condulmer associava l'idea di riforma e di professionalità non al volgare, ma al latino. Un episodio riportato da Marin Sanudo indicherebbe comunque come egli pensasse solo all'uso del linguaggio tecnico: il 31 ottobre 1506, durante una discussione in un consiglio veneziano, Antonio Condulmer citava un componimento poetico non in latino, ma in un volgare chiaramente veneziano:

In questo zorno fo il 3.o consejo di la causa di le do quarantie, per la sententia fata per sier Alvise Gradenigo, e sier Lorenzo Pixani, oficiali a le raxon nuove, contra sier Antonio Condolmer, olim synico in Cypro, monta retratation dil conto ducati 172 1/2. Or fo disputato; parlò esso sier Antonio, e disse tre verssi, li noterò di soto; rispose Venerio, poi Bortolo Dafin et Venerio, et altri. Andò la parte: 3 non sincieri, 26 bona, 31 taia; et fo taiada, tamen il Gradenigo la vol refar, per esser disordine di una riga.

 


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Quella candida man che m'à ferio,

Vedendo justamente vulnerato

Porse remedio, onde ne fu' guario.

Risposta.

Quella candida man che t'à ferio,

Vedendo justamente vulnerato

Dete il venen, onde ne fu morio.

(Sanudo, Diarii VI, 462)

Questo episodio è significativo non solo per l'atteggiamento linguistico delle persone coinvolte e per il loro livello culturale, ma anche per l'evidente notorietà del poema citato, che tuttavia Sanudo sembra non conoscere, visto che non riferisce il nome dell'autore.27 Inoltre, l'episodio ci trasmette un'impressione dei costumi retorici e linguistici in voga nei consigli veneziani, perché lascia supporre l'uso dell'idioma locale nei sommi organi pubblici, al contrario ad esempio di Napoli, dove nel 1554 il napoletano veniva bandito dal parlamento (Elwert 1939: 184).

 

5 Le conseguenze dell'ordinamento nella prassi

Prendiamo in esame la situazione linguistica di Creta: con l'eccezione dei parlanti di volgare veneziano, che risiedevano principalmente nelle città, gli altri abitanti dell'isola usavano comunemente il greco (e molti anche l'ebraico). Il greco veniva utilizzato anche per bandire proclami orali e per la stesura di documenti scritti (vedi sotto). Per il periodo antecedente al Cinquecento è stato constatato che "Ainsi la Dominante n'imposait pas seulement son autorité politique, elle imposait sa langue, car il est singulier de constater l'absence de documents grecs dans les archives coloniales: les traductions d'être conservées, les documents en latin ou en vénitien faisant seuls foi." (Thiriet 1959: 218).

A prescindere dal concetto di "imposizione", che sarà discusso più avanti, ci si chiede a quale lingua lo storico francese faccia riferimento, visto che poco dopo menzionerà il latino e il veneziano. Per quest'ultimo però non si può parlare di "lingua" se non con riserva (si confronti a proposito Cortelazzo 1982 e Marcato 1980), perché sotto l'etichetta di "volgare" non viene mai nettamente separato dall'italiano – sono dunque tre le lingue, due o solo una? In più la mancanza di documenti in greco a Creta è osservabile solo all'inizio della dominazione veneziana, mentre l'esistenza di notai greci pubblici può eesere documentata sin dal Duecento.

 


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A partire dall'ultimo quarto del quattordicesimo secolo si incontra il greco (e più tardi anche l'ebraico) come lingua di atti privati, ad esempio testamenti e contratti, nei protocolli, nei registri e nelle filze di notai pubblici, che circa un secolo dopo appaiono anche integrati in copia alla documentazione ufficiale di processi, bandi e simili, anche se in misura quantitativamente molto minore al latino e al volgare (Maltezou 1996: 121, Tiepolo 1998: 70). Si potrebbe presumere che Luca Tron si rivolgesse contro questo uso del greco. Una prova a sfavore di questa ipotesi è rappresentata tuttavia dal lascito del notaio Antonio Damila28, le cui cedole testamentarie, datate tra il febbraio 1496 ed il primo novembre 1504, sono tutte scritte in greco, anche quelle degli anni 1499 e 1500, quando era in vigore la disposizione sull'uso esclusivo del volgare. Negli altri registri risalenti a quel tempo è invece evidente l'influenza dell'ordinamento di Tron. Nei memoriali – protocolli delle procedure e delle sentenze del tribunale del reggimento – registrati su vacchetta a partire dal 28 gennaio 1498, ci sono 51 annotazioni in latino, 12 in volgare (delle quali una come tenor di un documento di prova presentato in tribunale o di una deposizione copiati nel memoriale) e due tenores in greco. Dall'11 marzo al 15 giugno 1499 si trovano tuttavia 137 annotazioni in volgare, 14 in latino e una in greco; similmente, in un'altra vacchetta che va dal 12 dicembre 1499 all'8 aprile 1500 ci sono 55 annotazioni in volgare e solo quattro in latino.29 Per contro, dal marzo al novembre del 1502 si trovano 159 annotazioni in latino, ma solo 58 in volgare e una in un misto di latino e greco, dall'8 marzo al 15 luglio 1503 247 in latino, 129 in volgare (cinque volte come tenor) e tre tenores in greco.30 Dal 16 gennaio 1503 al 21 maggio 1504 sono conservate 143 annotazioni in latino e 26 in volgare.31 In quest'ultimo caso, oltre alla dimostrabilità della presenza di Condulmer (vedi sopra), è interessante la forma concreta del materiale: mentre fino ad allora per i memoriali venivano utilizzate le vacchette, quaderni sottili di lunghezza corrispondente alla metà dell'attuale formato A 4 (11,4 x 29,7 cm), dal 1504 (non more veneto) in poi si cominciò ad usare registri del formato A 4 (31 x 21 cm)32 – forse una conseguenza delle riforme di Condulmer nell'amministrazione. Anche nei memoriali del gennaio 1508 prevale il latino, unica forma linguistica di sessanta annotazioni, alle quali si contrappongono due con tenores in volgare e una in greco, in modo simile all'estate del 1510, dove abbiamo 77 annotazioni in latino e 10 in volgare33.

Sarebbe interessante poter controllare, oltre ai memoriali, anche altre fonti della cancelleria cretese. Mentre infatti nei memoriali il latino è ancora fortemente presente fino alla fine del quindicesimo secolo, nelle lettere missive e nei bandi, per esempio, prevale il volgare già negli anni settanta del secolo. Dal 30 giugno 1472 all'11 maggio 1474 vennero copiate in un registro 57 lettere, delle quali 52 in volgare34, e tra i 307 proclami che vanno dal 13 dicembre 1469 al 17 maggio 147535, 68, ossia più di un quinto (22,15%) sono già scritti in volgare, cosicché il ritorno al latino avrebbe rappresentato un processo piuttosto faticoso. Purtroppo le gravi lacune in questi ed altri ambiti riguardano anche gli anni intorno al 1500, mentre è possibile gettare uno sguardo nei registri dei Notai di Candia. Nella filza "cedole testamentarie e minute di atti" (in tutto 37 fogli) del notaio Francesco Bruno, datata 20.3.1488 – 11.5.1510, si trovano quattro documenti in volgare degli anni 1499 e 1500, e lo stesso numero di documenti in volgare si trova tra altri testamenti e cedole datati tra il 7 giugno 1488 e il 10 agosto 1509. 36 La stessa tendenza è dimostrata dai registri di Giacomo Bonaseri, che cominciano con due pagine in volgare datate tra il primo e l'11 marzo 1500, per poi passare al latino nel registro del periodo 22 ottobre 1500 – 21 novembre 1502, ed esattamente con l'inizio delle annotazioni del marzo 1501 (c. 9v).37 A partire da questa data sono conservati anche dei documenti del notaio Michele Mellino nei quali il latino prevale fin dall'inizio. Tra l'8 ottobre 1501 ed il 26 luglio 1505 il latino viene prescelto 81 volte, il volgare solo sei volte, e anche una voluminosa vacchetta libro C datata 8.4.1503 – 22.6.1509 non contiene quasi parti in volgare.38

 


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Il periodo dell'influenza di Luca Tron si rispecchia in modo particolarmente evidente nel lascito di Angelo Petrarubea, di cui fanno parte, tra l'altro, 291 atti in latino che vanno dall'11 agosto 1489 al 25 maggio 1490; gli altri atti del periodo 11 gennaio 1500mv – 3 aprile 1507 sono redatti inizialmente in volgare (14 volte), poi, a partire dal 4 aprile 1501, quasi esclusivamente in latino. Un fenomeno simile si riscontra in un registro dei testamenti, cronologicamente molto ben ordinato, datato dal 23 aprile 1496 al 1506: fino alla fine del febbraio 1498 gli atti sono in latino, nel periodo 2 marzo 1499 – 8 novembre 1500 in volgare, dal 15 aprile 1501 in poi ancora in latino.39 Anche Giorgio Sinadino dà la preferenza al latino fino al 1498 compreso, passa al volgare al più tardi a partire dal 28 maggio 1499 e dal 9 marzo 1501 in poi ritorna al latino.40 Riassumendo, si può affermare che la prescrizione di Luca Tron di usare solo il volgare ebbe validità a partire dal 1499 more veneto e venne anche messa in pratica – ma cum grano salis –, mentre due anni dopo, all'inizio del 1501mv, si tornò all'uso prevalente del latino. L'abrogazione dell'ordinamento, decisa dal senato il 14 gennaio 1500mv, entrò in vigore a Creta un mese e mezzo più tardi, per cui l'ordinamento di Condulmer appare superfluo. Questi potrebbe aver voluto mirare a notai come Fanurio Trevisan, che anche negli anni 1503 e 1504 scrivevano quasi esclusivamente in volgare ed in greco41.

Visto che nella cancelleria del Duca di Candia non venne utilizzato sempre il latino fino alla fine del dominio veneziano, si pone la questione del momento in cui è avvenuto il ritorno al volgare. Se per quanto riguarda lettere e proclami le fonti mostrano una chiara preponderanza del volgare già nei primi decenni del sedicesimo secolo42, nei memoriali il volgare ha il sopravvento verso la fine del quarto decennio43. A questo riguardo è da menzionare la decisione del 1531 del Maggior Consiglio in base alla quale tutti i testamenti, in futuro, dovevano essere redatti in volgare al fine di evitare problemi di comprensione (Boccato 1972, Tomasin 2001: 143). Le conseguenze di questa decisione non sono ancora divenute oggetto di studio e non è chiaro se la decisione sia entrata subito in vigore, forse addirittura come regola amministrativa generale al di là dell'uso nei testamenti, o se i notai si siano opposti ad essa – è possibile che l'esperienza di Creta abbia fatto sì che il latino, prudentemente, scomparisse soltanto dai testamenti. Che la decisione fosse conosciuta anche a Creta lo dimostra la sua registrazione in un "Repertorio di regg. della Cancelleria Ducale di Candia"44.

Il lascito dei notai cretesi non mostra un comportamento unitario: Zuan Mudazo scriveva dal 6 marzo 1512 all'8 luglio 1523 esclusivamente in volgare45, ed il già menzionato Angelo Petrarubea ritornò ad usare il volgare al più tardi nel 1508.46 Esempi di notai più tardi che utilizzavano solo il volgare sono Francesco Muriani, Manea Mazo e Andrea Mavroianni (il primo di essi proveniente da Sithia) a partire dalla fine degli anni trenta del sedicesimo secolo. 47 Di contro, Johannes Mussuro utilizzò quasi esclusivamente il latino nel suo protocollo datato 2 maggio 1517 – 29 gennaio 1528mv e 18 febbraio 1510mv – 4 maggio 151748, così come il già citato Giacomo Bonaseri49, oltre a Francesco Nigro nel protocollo 14 marzo 1513 – 8 novembre 152050 e Demetrio Marà nel protocollo 14 dicembre 1531 – 9 dicembre 1532 e in un frammento del 30–31 luglio (?) 1536. Inoltre, il lascito del vicecancelliere Vittor Madiota, in carica per molti anni,51 comprende non pochi testi in latino anche verso la fine della sua attività (fino al 1561) 52, come anche i lasciti di Pietro Mussuro (fino al 1560) e Marco Trevisan (fino al 1543)53. Testamenti in latino della prima metà degli anni trenta del sedicesimo secolo si trovano nel lascito di Andrea Talassino, che scriveva prevalentemente in latino.54

 


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6 Politica linguistica esplicita e implicita

Allo scopo di giudicare più efficacemente le interazioni tra lingua e politica è stata proposta la suddivisione dei provvedimenti rilevanti in "politica linguistica esplicita" e "politica linguistica implicita". La prima riguarderebbe i provvedimenti le cui intenzioni di politica linguistica sono formulate esplicitamente, come nelle delibere veneziane sopracitate (in ogni caso, solo per quanto riguarda l'uso del latino o del volgare, non del tipo di volgare). La seconda invece è "una politica che non s'intende come politica linguistica, ma che ha conseguenze linguistiche (spesso senza che sia possibile stabilire se le conseguenze siano intenzionali o no)" 55 (Kremnitz 2001: 493), ad esempio il trasferimento di abitanti56 come quello intrapreso da Venezia con l'insediamento di nobili ed altri veneziani a Creta, tra i quali veniva ridistribuito il terreno, che fa sì che "The Venetian colony of Crete, which began in 1211 and lasted until 1669, is the premier example of pre-modern colonization and deserves its place in medieval and early modern colonial history as such." (McKee 2000:5). A questo riguardo è di notevole importanza il comportamento linguistico dell'amministrazione statale, ossia quali idiomi venissero usati dagli impiegati. Come si è già detto, tra i documenti conservati nei fondi "Duca di Candia" e "Notai di Candia" dell'Archivio di Stato di Venezia prevalgono quelli in latino e in volgare romanzo, mentre si riscontra talvolta il greco e, molto più raramente, l'ebraico come lingue dei documenti privati. A giudicare dalle fonti a nostra disposizione, alcuni notai pubblici si servivano unicamente del greco, ma a Creta non ci sono tracce di una suddivisione della cancelleria ducale in base alle lingue come in Dalmazia, dove nel 1648 è documentata a Zara una "Cancelleria della lettera illirica e serviana" (Pederin 1988: 211), creata probabilmente molto tempo prima, visto che un'altra uguale è attestata a Scutari per l'inizio del Quattrocento, e a Ragusa e Cattaro era "molto più antica" (Schmitt 2001: 141, 588). La varietà linguistica della popolazione cretese si manifestava comunque negli editti della cancelleria ducale. Nei registri dei bandi, scritti in latino e in volgare, veniva annotato, oltre al contenuto, anche il nome di colui che li aveva proclamati, la data e la lingua utilizzata: in un bando dell'8 aprile 1472 si legge ad esempio "Clamatum fuit pu(bli)ce p(er) Sabastianu(m) Dandulo gastaldione(m) in lobio santi / Marci et extra porta[m] civitat(is) Cand(i)d(e) et in iudaica, in latino et / greco s(er)mone"57. Il termine "latino" potrebbe indicare in questo caso anche il volgare, poiché prima del Cinquecento lo si usava in tal senso – anche se raramente – per contrapporre il volgare romanzo ad una lingua non romanza (Kramer 1998: 104). Non sorprende che il termine non compaia più a partire dalla metà del sedicesimo secolo, mentre rimane ad esempio il riferimento al greco, dato che i registri di quel tempo non sono più redatti in latino, ma in volgare, sottinteso come lingua consueta delle proclamazioni.

 


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Originariamente il senato aveva deliberato che gli aspiranti ad un posto nell'amministrazione veneziana dovevano essere italiani (Barbaro 1940: 30). Nel 1501 venne tuttavia accolta la petizione di un'ambasciata proveniente da Creta "che li officii de / qui siano contributi alli habbitanti de qui, et / obviando non si desse a famiglie, che p(er) li tempi / siano venute cu(m) li rettori over sia(n) p(er) venir"58. In un registro dei memoriali si trova però un inventario registrato già il 15. 2. 1500mv "p(er) mi Xeno P(a)pastephanop(u)lo nodaro (et) / coadiutor de la ca(n)celaria"59, e le proclamazioni in greco lasciano supporre che anche prima di questa data nella cancelleria ducale lavorassero persone di madrelingua greca o bilingui; infatti già nel Quattrocento sono attestabili nella cancelleria ducale persone greche o di origine greca (Tiepolo 1998: 45). Disponiamo poi di una prova per il periodo successivo: da una relazione del Duca di Candia Francesco Bernardo del 154060 risulta che i dodici notai della Cancelleria erano quasi tutti greci. Per paura che questi si potessero alleare contro i Veneziani, il Duca proponeva la loro rimozione, l'elezione di "quattro o cinque sufficienti Nodari Italiani pratici sì delle cose civili come delle criminali, con salari di ducati cinquanta per uno all'anno, gli quali insieme con il soprascritto Cancelliere Grando fossero tenuti far ferma residenza in Candia, et servir assiduamente a quel clarissimo Reggimento in tutte cose aspettano alla Cancelleria" e l'impiego di un "bon et fidel interprete della lingua Greca che però fusse ancor lui Italiano del quale se ne potesse servir sempre che gli occorresse et praesertim al formar gli processi et esaminar gli testimonii, cosa che saria necessaria, quando gli Nodari non fussero Italiani com'è sopraditto". Quest'ultima misura avrebbe aiutato soprattutto i poveri, che erano svantaggiati "non sapendo parlar franco, nè trovando, per la impotenzia sua, avvocati che vogliano rappresentar alla Giustizia le ragioni loro" (Barbaro 1940: 30–31). L'opportunità di questa considerazione ci è dimostrata dall'esempio della Dalmazia, dove nel 1684 il tentativo di abolire l'interprete pubblico fallì in seguito alle violente proteste dei ceti più umili e ignoranti dell'italiano, che presentò parti in suo favore del 1410 e 1422 (Pederin 1988: 210–211; e questo nonostante una decisione del Provveditore generale Girolamo Grimani, pronunciata solo pochi anni dopo la perdita di Creta nel 1676, che in Dalmazia tutte le citazioni e tutti gli atti degli organi di prima istanza dovessero essere redatti in lingua croata con caratteri glagolitici, cf. Pederin 1990: 31461). Ma i numerosi nomi greci tra quelli dei notai della cancelleria anche dopo il 1540 indicano che le proposte di Francesco Bernardo non furono messe in pratica. Inoltre, nei libri ufficiali, ossia i registri che contengono le nomine e le promozioni locali dell'amministrazione veneziana, di cui per il Cinquecento ci rimangono gli anni 1537–1541, 1572–1579, 1579–1587 e 1593, si trova solo una nomina per un posto di interprete pubblico a Candia, quella del 24 aprile 1581 di s(er) Niccolò Corressi (come successore di Francesco Boneti che "manca da detto suo carico già qualche anno") – "quale possiede felicemente la lingua turchesca".62 Viste anche le grandissime lacune di queste fonti, ciò non significa, naturalmente, che a Creta fossero del tutto assenti gli interpreti di greco63, la cui "indiscutable universalité [...] dans toute la Romanie obligeait beaucoup de Vénitiens à l'apprendre [...]"64 (Thiriet 1959: 218), e secondo Thiriet nei secoli XII–XV tutte le colonie veneziane avevano uno o più interpreti. Un esempio è costituito da Corfù:

 


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L'office de l'interprète du tribunal refait son apparition dans un texte de 1505 qui réglemente son salaire et ses activités: écrire en grec, assister aux dépositions des témoins en matière civile et criminelle, se déplacer en dehors de la cité pour les prendre. Son indemnité est calculée sur le montant de la sentence. (Karapidakis 1992: 192).

L'esistenza di un tale impiegato non esimeva lo "scrivan alla corte", chiamato anche "notario sive scriptor" o "grammatico della corte", una delle cariche più antiche dell'amministrazione veneto-corfiota risalente al contratto di annessione dell'isola e assegnata senza considerazione dell'appartenenza etnica (Karapidakis 1992: 191, 204, 209, 207), dal dovere di conoscere la lingua greca: "Le notaire devait pouvoir écrire en grec et était chargé des citations adressées aux Grecs." (Karapidakis 1992: 192) In modo simile, il 23 aprile 1434 il senato concesse al Cancelliere Grande di Negroponte tre cancellieri aggiuntivi, "inter quos unus qui sciat scribere in greco et in franco [qui nel significato di "francese", secondo l'autore]" (Thiriet 1959: 218). Purtroppo gran parte dei capitolari cretesi, tra cui anche quelli Ab Advocatis e A Scribis Officiorum, è andata perduta (Barbaro 1940: 35, Gerland 1899: 41), ma si può supporre l'esistenza di un numero sempre crescente di individui con i più vari gradi di bilinguismo e plurilinguismo e con un'ottima padronanza di greco, latino e volgare che rendeva meno indispensabile il lavoro degli interpreti.

Così come l'istruzione in generale rappresenta un fattore determinante per la politica linguistica sia esplicita che implicita, anche il comportamento linguistico dei notai veneziani era strettamente connesso alla loro formazione.65 Da questo punto di vista è degno di nota un altro passo della supplica sopramenzionata 66 in cui i cretesi intercedevano per un insegnante di latino e greco:

Ittem perché la nostra insopportabil povertà è tanto / augu(m)mentada, che buona parte de nui non havemo / possibiltà pagar maistro per far segnar a nostri / fioli, i quali 67 ignoranti con grande n(ost)ro incomodo et dolore, / vedendo il nostro sangue come68 privato dalli beni dell'/animo et fortuna, per tanto sappendo la gran sum/ma di danari del suo pub(li)co et erario ch'ogni anno / spende v(ost)ra ser(eni)tà a Padoa et in Venetia p(er) am/maestrar quelli che sono studiosi delle buona dottrine [sic!] / havemo preso fiducia de supplicar che v(ost)ra ser(eni)tà / se degni con il suo consiglio di Pregadi deliberar / che Pentio69 de Sanctis v(ost)ro fideliss(i)mo s(ervito)r et huomo dotto / in greca et latina dotrina et bene acostumando70 / sia obligato elleger71 qui publiche due lectioni72 al dì / senza pagamento alcuno, come esso legge et è73 obligato / lezer alli zoveni della canc(ellari)a n(ost)ra et perché ha74 / solum duc(a)ti 40 all'anno per tal fadica, che è minimo / sallario, supplicamo vostra ser(eni)tà che voglia con ditto / suo consi(gli)o augumentar75 detto suo sallario libero da / ogni contribbution per tal fattura76, el qual sall(ari)o77 au/gumentato possa esso scoder annuatim da questa / camera come al p(rese)nte scode detti ducati 40\ la / qual gratia pregamo v(ost)ra sub(limi)tà che la si degni come/der p(er) esser giusta et honesta et facile et a tutta / questa università uttilissima et gratissima.

 


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Il Senato accolse l'istanza, "ché li figl(iol)i78 sui imparano bone / lettere con79 boni costumi" e aumentò lo stipendio di Peritio di Sanctis di dieci ducati. Per quanto riguarda il grado di preparazione richiesto per poter accedere ad una carica della cancelleria sono indicativi gli esami di ammissione in uso a Venezia a partire dal 1496. Nella seconda metà del Cinquecento, in questi esami veniva messa alla prova la competenza linguistica: i candidati dovevano "legger e dechiarire una epistola di Marco Tullio [Cicero, R. E.], e scriver volgar e latino all'improviso, senza partirsi da palazzo, sopra quella materia che gli viene data" (Zannini 1993: 130/132, Trebbi 1980: 89) prima che si procedesse alla valutazione. Per Creta abbiamo a disposizione una fonte risalente ai primi del Seicento, dalla quale si desume che gli aspiranti ai vari ranghi della cancelleria dovevano mostrare di saper leggere o scrivere testi di diversi tipi quali lettere, terminazioni e sentenze, ma esclusivamente in volgare, non più in latino o in altre lingue. La riluttanza nei confronti dell'uso esclusivo del volgare, prescritto da Luca Tron cento anni prima, si può forse interpretare come derivante da orgoglio di casta e desiderio di isolamento e distinzione della propria categoria professionale, desiderio la cui realizzazione è ben documentata per Venezia e Corfù (Zannini 1993, Karapidakis 1992). Lo stesso vale per la Francia, dove il re esortava le persone che ricoprivano cariche pubbliche alla distinzione non solo nei vestiti, ma anche nel linguaggio (Droixhe / Dutilleul 1990: 440) e dove queste tendenze si manifestano ancora oggi nella forma linguistica delle sentenze (Krefeld 1985: 65–57, 82–86, 205).

 

7 Il contesto europeo

Gli ordinamenti menzionati riferentesi all'uso linguistico rimangono tutti al livello più basso come misure di politica linguistica esplicita, in quanto si tratta di semplici decreti.

Le forme esplicite di livello più basso della regolamentazione linguistica sono raccomandazioni o decreti linguistici. In questo caso si tratta di disposizioni amministrative in generale, che in quanto tali possono essere adattate abbastanza facilmente ad una nuova situazione oppure rispecchiare i mutamenti degli interessi politici, sia che si tratti di decreti che riguardano lo status e l'uso di una lingua o che cercano di regolamentare le forme linguistiche. I decreti amministrativi sono la conseguenza di leggi di cui devono regolare l'attuazione pratica in quanto disposizioni procedurali: spesso però le amministrazioni regolano le questioni linguistiche anche senza una previa regolamentazione legislativa. (Kremnitz 2001: 499)80

 


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Rimangono su questo livello anche altri dei primi esempi di politica linguistica esplicita in Europa occidentale (mentre sembra che i Greci e i Romani non avessero perseguito una politica del genere). Essi datano soprattutto dalla fine del Rinascimento (Kremnitz 2001: 493–494)81, ma anche – pur se raramente – da qualche secolo prima, come quello del medio basso tedesco: la varietà di Lubecca, oltre ad essere usata al posto del latino fin dal 1369 per un secolo e mezzo come lingua dei concordati delle riunioni anseatiche (i cosiddetti "Hansetage") e della corrispondenza con i principi scandinavi e con le città fiamminghe, fu prescritta anche per le sentenze di ultima istanza, che altrimenti non erano valide (eccezion fatta solo ad est e ad ovest, dove concorrevano in una certa misura gli idiomi di Magdeburgo e di Colonia; vgl. Dollinger 1989: 342). Un ulteriore esempio d'oltralpe è fornito da Rodolfo di Asburgo, re tedesco dal 1273 al 1291, il quale secondo la tradizione decretò che si dovevano scrivere i privilegi in tedesco, perché la difficoltà del latino, oltre a causare errori e gravissimi dubbi, avrebbe potuto ingannare quelli che non lo padroneggiavano – è questo l'argomento più usato contro il latino, tra l'altro anche a Venezia nel 1531 riguardo ai testamenti. Nell'Italia meridionale, invece, Carlo d'Anjou prescrisse il 27. 10. 1277 l'uso del francese alla sua tesoreria:

Et feres ferre deus quaternes, et en l'un feres escrivre en françois, et en l'autre en latin; ... [omissione di Brun] lequel commandement soit fait par nos lettres ouvertes et les lettres soient faites en ceste menière: Premièrement, les lettres soient escrites en françois ...; mes pour nulles autres lettres qui vous viegnent, qui ne seront escrites en françois et en la forme qui est desus devisée,... monoie ne pou ne grant vous n'envoieres ne bailleres ne ne despandres (Brun 1923: 45–46).

Alla base di questa disposizione, alla quale gli impiegati obbedirono fino alla morte del sovrano, lo studioso suppone ci fossero non solo l'intenzione di impedire le falsificazioni, ma anche quella di mettere in ordine le finanze del nuovo stato, dunque la stessa cura per l'efficienza amministrativa che preoccupava anche Luca Tron e Antonio Condulmer. Anche se l'episodio non deve essere sopravvalutato, visto che l'ordinamento riguardava un cerchio molto ristretto di funzionari, l'ipotesi secondo la quale il principe avrebbe preso la decisione "[...] qui sait, pour accentuer le caractère français de son établissement napolitain" si addice al processo di "francesizzazione della feudalità e, almeno, dell'alta amministrazione" (Galasso 1992: 44), cosicché "il primo volgare che si afferma [a Napoli, R. E.] è il francese", usato come lingua di alcuni volgarizzamenti e, secondo una fonte purtroppo poco attendibile, adottato molto presto anche dai nobili, cfr. Bianchi/De Blasi/Librandi 1992: 633. Inoltre l'ordinamento angioino sembra anticipare il tenore dei decreti dei re francesi a partire dal 1490 che si concludono con l'ordinanza di Villers-Cotterêts del 1539. Quest'ultima, originalmente "un petit article, perdu au milieu de prescriptions multiples concernant les cours, tribunaux et offices de judicature, qui s'attaque expressément au latin, et qui par une répercussion indirecte, a jeté bas les parlers locaux" (Brun 1923: 421) non sembra basarsi su una qualche coscienza etnica o prenazionale, mentre altre fonti testimoniano intenzioni di politica linguistica e piani di diffusione della lingua francese alla corte parigina nella prima metà del Cinquecento (Schmitt 1990: 356). Qualunque sia stata in questo caso l'intenzione originale, impossibile da ricostruire con certezza, fatto sta che "non sono da sottovalutare neppure queste semplici disposizioni, che talvolta hanno molteplici conseguenze, anche se non rientrano in una vera e propria politica linguistica"82 (Schneider 1996: 70), come indica anche la resistenza opposta dai cretesi all'ordinamento di Luca Tron. Oltre a ciò, la fortuna dell'editto francese conferma chiaramente che non deve essere sottovalutata la ricezione da parte della popolazione e dei notai, che nel caso francese, contrariamente a quello veneziano, fu tutto sommato molto favorevole, a parte alcuni casi di resistenza (ma in favore dell'occitano, non del latino, cfr. Krefeld 1985: 77, Schmitt 1990: 356), cosicché il latino sparì dai registri pubblici fin dal 1540. Se ne è concluso che la decisione "répondait à une prédisposition latente des générations nouvelles" (Brun 1923: 421), anche perché la sua popolarità si manifesta nella considerevole ripercussione avuta sia in opere annalistiche e di altro genere sia ai margini dei registri notarili e municipali stessi (Brun 1923: 424), il che conferma che "la historia jurídica es sólo un reflejo muy parcial de la realidad sociolingüística" (Eberenz 1992: 374). È interessante il comportamento di un notaio marsigliese nel 1540, il quale abbandonava il latino per proseguire, lasciando una pagina vuota, con l'annotazione

 


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continuation du protocolle de Moy Bernard Cordier, descript en langue françoise suivant les ordonnances royaux et après la publication d'icelle en la court souveraine du parlement, audictpays de Provence, tenant les jours ordinaires en la cité de Marseille. Ai commencé les an et jour infrascriptz. (Brun 1923: 348)83

Al contrario di quello che avveniva a Venezia, in Francia venne eliminata l'imprecisione dell'espressione lingua volgare, in questo caso langue vulgaire o simili, e con il francese venne apertamente offerta l'alternativa di un modello linguistico sufficientemente ben definito da poter competere con il latino e farlo sparire dai registri già nel 1540, cosa che altri ordinamenti precedenti non erano riusciti a fare. Che, d'altro canto, neppure il modello offerto garantisca il successo di una disposizione linguistica è implicato dal caso già menzionato dell'Italia meridionale: perché l'uso amministrativo del francese nel periodo angioino venne abbandonato, invece di essere mantenuto come più tardi quello dello spagnolo?

Nello stato sabaudo, per fare un altro esempio, i modelli linguistici erano due: non solo il francese, ma anche l'italiano, che il duca Emanuele Filiberto usava in pubblico, nonostante la sua propria formazione linguistica. In più prescrisse nel 1561 (siamo quindi dopo la pubblicazione delle Prose della volgar lingua), dopo aver promulgato un ordinamento simile già un anno prima, che i documenti ufficiali erano validi solo se scritti "in bona lingua volgare, cioè Italiana, ne' nostri stati d'Italia, & Francese, in quelli di là de' monti" (Marazzini 1992: 14). Vi furono casi di resistenza sia in Valle d'Aosta, dove il duca tuttavia respinse la richiesta di tornare al latino espressa nel 1572, sia in Piemonte, dove nel 1577 si ritenne necessario un editto di conferma dell'ordinamento precedente, perché gli avvocati e i procuratori continuavano ad usare il latino – "Vi era insomma un malcontento degli uomini di legge, i quali si trovavano imbarazzati di fronte ad un uso "tecnico" (e quindi formale) del volgare nel corso dei processi." (Marazzini 1992: 17) Si noti che il duca, come anche i re di Francia, rimase fermo contro chi si opponeva al volgare anche negli anni seguenti, mentre il Senato veneziano venne incontro alle proteste dei cretesi. In questo senso, l'episodio di Tron e Condulmer mette in risalto certe caratteristiche del sistema politico veneziano: la sua struttura oligarchica sicuramente ostacolava una decisa politica linguistica a lungo termine, a causa della molteplicità dei punti di vista, delle opinioni, delle prese di posizione, delle alleanze e delle proposte da imporre, controbilanciare e concordare. In più, le cariche pubbliche (esercitate per quanto possibile secondo il principio della collegialità) erano di breve durata, per cui i titolari cambiavano spesso. Principi come quelli menzionati, o signori come i Medici e gli Sforza, erano invece molto avvantaggiati in virtù del loro più ampio ed incontestabile potere e della loro posizione a vita. Unicamente l'esempio napoletano lascia supporre che la sola volontà di un principe o di un casato principesco non fosse sufficiente, e che anche i regnanti dipendessero in gran parte dal favore dei loro sudditi.

 


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Se è necessario mettere in evidenza la molteplicità dei fattori da cui dipende l'efficacia di una politica linguistica, sarà lecito ipotetizzarne altri per il caso veneziano: "The psychological qualities fostered by the Venetian political system were those that favored patience, conformism, and compromise." (Finlay 1980: 139) Quest'osservazione si collega strettamente all'età dei politici veneziani, che potevano ambire ad un'alta carica solo dopo i 45 anni, per cui ad esempio i dogi erano molto più anziani di tutti gli altri regnanti europei – l'età media di quelli eletti tra il 1400 e il 1600 è di 72 anni. Completamente diversa da questa gerontocrazia, che certamente non favoriva bruschi cambiamenti linguistici e la pronta ricettività o imposizione di pensieri avanguardistici (e infatti Pietro Bembo si fece valere prima altrove), era Firenze, dove il poeta-signore Lorenzo il Magnifico moriva dopo 23 anni di reggenza a 43 anni, un'età in cui a Venezia la sua carriera politica sarebbe appena potuta cominciare (Finlay 1980: 130, con una citazione dell'umanista Alamanno Rinucci del 1479, secondo la quale a Firenze tutti erano "manovrati dai capricci di un giovanotto" – un esempio contrario, a Venezia, è il poeta Leonardo Giustinian, che morì nel 1414 all'età di 60 anni prima di potersi candidare alla carica dogale, come correva voce volesse fare, cfr. Pignatti 2001: 250). In più, l'esiguo numero di misure di politica linguistica esplicita, anche negli ultimi secoli della così longeva Repubblica veneziana, non stupisce affatto se si tiene conto dell'idea che i veneziani stessi avevano del loro stato: com'è noto, lo hanno sempre considerato una città-stato (anche se con un retroterra piuttosto esteso), mai uno stato territoriale o nazionale84. La comparsa di queste concezioni di stato favorì invece le prime formulazioni di politica e legislazione linguistiche perché richiedeva un nuovo grado di unificazione amministrativa (Schneider 1996: 73, Kremnitz 2001: 494), mentre "il fatale concatenamento delle ambizioni linguistiche con il potere e le imposizioni statali non sembra attestato per il medioevo in forma pronunciata" (Schneider 1996: 76)85. Che i veneziani in questo senso siano rimasti medievali nel senso migliore del termine ce lo illustra ulteriormente il confronto con altre potenze coloniali. In Spagna, ad esempio, dopo la riconquista della penisola spagnola le misure linguistiche si rivolgevano innanzitutto contro la popolazione musulmana. Ad una certa tolleranza iniziale fece seguito nel 1526 un editto, confermato poi nel 1528 e nel 1565, che proibiva l'uso dell'arabo. Allo stesso modo procedettero gli spagnoli in Sudamerica, dove all'inizio si rivelò necessaria una grande cautela a causa del rapporto numerico (probabilmente un fattore importante anche nella Creta veneziana?) tra i tanti indigeni e i pochissimi spagnoli. La linea più dura adottata in epoca posteriore si manifestò soprattutto nei confronti dei figli dei Cazichi, che furono costretti a lasciare le loro famiglie per ricevere un'educazione di stampo spagnolo (Eberenz 1992: 370–372). Un esempio estremo di politica linguistica di vasta portata contro una lingua viva è rappresentato dalla politica inglese in Irlanda nella prima metà del Cinquecento: il governo inglese emanò nel 1536/37 un "Act for the English Order, Habite, and Language" in favore dell'anglicizzazione dell'isola che mirava tra l'altro alla soppressione degli idiomi celtici, visti come causa della selvaticità e della scontrosità dei loro parlanti, e che faceva parte "del più vasto programma di distruzione di una cultura realizzabile senza la forza delle armi"86 (Landwehr 1999: 26, 33). Difficilmente i Veneziani avrebbero potuto assumere a Creta un simile atteggiamento nei confronti della lingua greca. La ragione non era solo il prestigio che l'idioma aveva acquisito grazie alla sua stabile e veneranda tradizione e al suo stato di lingua amministrativa di uno degli imperi più importanti esistenti fino alla metà del Quattrocento: "The absence of language among the distinguishing characteristics that the regime counted on is important. Apparently even as early as 1324 the Venetian authorities could no longer rely on language to tell Greek from Latin." (McKee 2000: 126) A parte questo, infatti, la Serenissima si comportava in maniera simile nei confronti di altre lingue, come ad esempio l'albanese: "A lungo base di una lingua franca di Levante, usato anche nella lingua cancelleresca dalle "terre de la da mar", il veneziano non fu mai imposto dalla Repubblica nelle località dominate."87 (Marcato / Ursini 1998: 16, cfr. anche Cortelazzo 1982 e Marcato 1980).

 


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Conclusione

Le vicende intorno all'ordinamento per il volgare di Luca Tron mostrano la forte perseveranza del latino in ambito notarile e giuridico, dovuta probabilmente alla formazione dei notai (si veda anche l'esempio simile piemontese). Si osserva inoltre che in nessuna delle disposizioni menzionate viene mai precisata la designazione di 'volgare' come invece accadde in Francia con la prescrizione del francese o in Italia con l'adozione del toscano da parte di Pietro Bembo in campo letterario. In generale risulta che la Repubblica adottò solamente misure di politica linguistica esplicita al livello più basso, cioè a livello di semplici ordinamenti amministrativi, e che esse furono caratterizzate da una certa accondiscendenza verso i sudditi, si vedano ad esempio le cancellazioni di decisioni poco gradite.

Il sistema politico veneziano, con i suoi modi di equilibrare gli interessi e controbilanciare le aspirazioni di potere, si mostrò poco incline ad una politica linguistica in favore di una sola lingua a differenza di quanto stava avvenendo negli stati moderni (contrassegnati da amministrazioni unificate per il governo di grandi territori con ovvie conseguenze linguistiche).

 

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Note

* Ringrazio la dott.ssa Sabrina Cherubini per la traduzione. – Der vorliegende Text wurde um zwei fehlende bibliographische Angaben ergänzt. Am Text selbst wurden den PhiN-Publikationsvorgaben entsprechend keine Änderungen vorgenommen.

1 ASV, Senato Mar, Reg. XV, f. 62v.

2 Sul margine sinistro si legge s(er) Marinus Sanuto / sapiens ordinu(m) (a questo proposito vedi sotto, capitolo 3), più in basso, accanto al secondo risultato della votazione che comincia con la parola "volunt" si legge: + / s(er) Gabriel Mauro / s(er) Franciscus Donato / s(er) Jacobus Gabriel / sapient(es) ordinu(m).

3 È necessario osservare che secondo il more veneto l'anno solare cominciava in marzo, quindi la decisione è stata presa nel gennaio 1501.

4 ASV, Duca di Candia, Officiali, busta 56, Reg. 2, f. 158r.

5 ASV, Duca di Candia, busta 50bis, Reg. 10, "Ambascerie di Candia e scritture diverse", ff. 89v und 90v.

6 "Con commosse parole i Sindici si facevano anche eco dell'affetto e della stima delle popolazioni per i magistrati di Venezia." (Dudan 1935: 154).

7 Secondo una fonte, la "famiglia" dei sindici consisteva di un cancelliere, un coadiutore, un famulus cancellarii e tre servitori, le altre fonti però riportano normalmente soltanto un notaio ed un contabile al seguito del sindico (Dudan 1935: 105).

8 Qui se'l potrebbe essere una trascrizione migliore.

9 ASV, Senato Mar, Reg. 14, f. 157r–158r.

 


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10 Suo padre era Domenico Sanudo, quindi non si tratta di un fratello di Marin Sanudo fu Leonardo. Quest'ultimo commentava con le seguenti parole il suo ritiro dalla politica veneziana in seguito ad una condanna: "Tamen, dirò cussì, el non havia fato mal tanto, che non si havesse potuto conzar, ma lui si anegò in un goto di aqua. Li fo venduto in Rialto le so possession di Lignago e caxe; et lui disperato si partì e andò a star con li fioli a Mantoa, a lezer in theologia, per esser doctissimo, dove l' è al presente. Duolmi per la caxada, mi piace per il suo mal governo." (Sanudo IV, 311).

11 Nel volume di Neff si legge però "sec to Piero Sanuto syndic in the Levant", che potrebbe significare che il segretario accompagnava solo Piero Sanudo.

12 Dedo esercitò quest'attività fino alla sua morte nel 1529.

13 Il carattere corsivo applicato ai latinismi è stato ripreso dall'edizione dei Diarii.

14 Si dovrebbe esaminare nell'originale se la lettura più corretta non sia "el à fato". Un emendamento simile è stato proposto per un altro passo dei Diarii ("lo'l" invece di "l'ol fece chiamar", cfr. Tomasin 1999: 124).

15 Si tratta evidentemente di un ipertoscanismo, a cui si contrappone più in basso, nella stessa costruzione, l'espressione "per mi". Variazioni di questo genere fanno apparire ibrido il volgare di Sanudo (Lepschky 1996: 48), che adotta con disinvoltura uno dopo l'altro i più diversi indirizzi linguistici. E' da osservare comunque che le Prose della volgar lingua del Bembo non erano ancora state pubblicate e che Sanudo non disponeva perciò di uno standard unitario in base al quale poter escludere le forme non corrispondenti.

16 "Le pagine dei Diarii rappresentano la realizzazione stilisticamente più rilevante di quel veneziano illustre di ascendenza cancelleresca, quattrocentesca insomma, nel quale, negli stessi anni, si vanno cimentando anche altri magistrati della Repubblica, e che nella medesima veste diaristica si ripresenta, ad es., nell'opera di un Girolamo Priuli." (Tomasin 1999: 123)

17 Le numerose varianti grafiche (per esempio undici modi diversi di scrivere la parola Rat 'consiglio') in un codice comunale del Seicento, apportate dal segretario tedesco Johann Hermann Mercator sono state interpretate come la volontà di provare una più alta cultura scritturale ed erudita (Mihm 2000: 383) – bisogna forse attribuire un tale atteggiamento anche a Marin Sanudo?

18 "Marin Sanudo was clearly a very active member of the Aldine circle around 1500, keeping in close touch even while he was in Verona [...]" (Lowry 1975: 413). Ma già nel 1502 Aldo si rammaricava dell'assenza di Sanudo in seguito alla sua elezione a Savio agli Ordini.

19 Durante le sedute dell'Accademia, comunque, doveva essere utilizzato prevalentemente il greco, con minaccia di punizione in caso di pronuncia scorretta (Lowry 1975: 380).

 


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20 "Poliglotta: ecco – se Firenze fu, nell'ultimo Quattrocento, latina e toscana, e poi nel Cinquecento toscana e italiana, Venezia fu sempre, attraverso tutto il secolo, poliglotta: greca e latina e veneziana e provenzale e italiana e ancora veneziana e perfino dialettale." (Elwert 1979: 282–283). Si potrebbe considerare questa poliglossia come una forma di uguaglianza linguistica, anche se molto diversa da quella creata tramite l'imposizione di un'unica lingua standard. In quest'ultimo caso tutti devono parlare la stessa lingua, nell'altro tutte le lingue vengono usate e capite allo stesso modo – senza dubbio ideali irraggiungibili entrambi.

21 ASV, Duca di Candia, b. 50, Reg. 5., f. 9r.

22 Nei diari di Marin Sanudo, Antonio Condulmer di Leonardo viene indicato unicamente come "synico in Cypro" (ad esempio in Sanudo, Diarii V, 69)

23 ASV, Duca di Candia, b. 50, Reg. 5., f. 12r.

24 Un'annotazione del 17 febbraio 1503mv si riferisce all'iniziativa di "Antonius Condulmario, syndicus et p(rovedit)or orientis" (ASV, Duca di Candia, memoriali, busta 33, reg. 1A, f. 2v). Gli faceva da segretario, significativamente, "Christophoru(s) de Grametici(s) cancellariu(s)" (annotazione del 24 febbraio 1530mv ASV, Duca di Candia, memoriali, busta 33, reg. 1A, f. 17r.; Neff 1985: 453) – il termine "grammatica" indicava a quei tempi il latino, di cui, a differenza del volgare, si doveva studiare la grammatica. Dai registri del Consiglio dei dieci risulta che un Cristoforo de' Grammaticis era stato nominato notaio straordinario nel settembre del 1510 e dimesso nell'aprile 1513 come uno degli "straordinari" meno efficienti. Anche i Diarii del Sanudo riportano che il 30 aprile 1513 la nomina di Christofal di Gramatici "è scrivan" come extraordinario venne revocata "per aver altri offici" (Sanudo, Diarii XVI, 194). Tuttavia, ulteriori menzioni di questo nome fanno supporre che nello stesso periodo fosse attivo un notaio omonimo.

25 Non si tratta dell'unico caso in cui Antonio Condulmer prende la parola e la mantiene per un lasso di tempo straordinariamente lungo: in un altro passo, Sanudo parla di un'orazione durata cinque ore (Sanudo, Diarii VI, 159).

26 Nella stessa pubblicazione viene discusso un episodio riguardante la forma linguistica del Libro d'Oro (Tomasin 2001: 128) che si svolse nel Collegio nel 1529.

 


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27 Dalla ricerca in vari incipitari risulta che l'incipit (se di incipit si tratta) "quella candida man" o "mano" verrà usato anche dai letterati – molto posteriori – Tasso e Della Casa. A tal proposito ringrazio il Dr. Bernhard Huß e il Prof. Gino Belloni che mi informano che questo stilema è un topos della lirica amorosa antica, come lo dimostrano più di 50 esempi fino a Marino. Benché il riferimento probabile sia Petrarca e la sua bianca mano, non è però petrarchesco. Del resto anche il gioco letterario di contrasto è antico e appare nella madrigalistica. Un'ulteriore traccia, mi sembra si possa trovare nell'opera di Filenio Gallo, il quale insegnava, studiava e poetava a Venezia e a Padova intorno al 1490, lasciando tra l'altro i versi "Quella distinta man candida e molle, / che sì benignamente a me si porse, / del petto el cor cavò e 'l disio torse / dal vil camin che 'l vulgo errante extolle [...]." Certamente la veste linguistica delle sue opere, corrispondente alla sua origine toscana, rende poco probabile che abbia composto i versi citati da Condulmer, ma il poema potrebbe comunque indicare l'ambiente in cui sono nati (Grignani 1973a: 324, 11–12). Gallo era in stretti rapporti di amicizia con il toscano Pizio ed il veneziano Giovanni Badoer, un politico importante che era a contatto con umanisti ed altri uomini di cultura e stimato dal Bembo. Anche nei versi di quest'ultimo traspare però "la cura di collocare nell'ultima sede degli endecasillabi scdruccioli parole di derivazione latina, l'astensione, per quanto gli è possibile, dal colorito linguistico "regionale"" (Grignani 1973b: 88). Il suo lascito conferma comunque l'enorme popolarità della letteratura bucolica (spesso di origine toscana) a Venezia nel primo Cinquecento. Opere di questo genere passavano allora sotto l'etichetta di "commedia", termine molto elastico, come risulta da un elenco di componimenti simili del Sanudo: "Infatti con i testi propriamente teatrali, scritti per essere recitati, esso include egloghe, rusticali, farse, e persino composizioni dialogate che si possono prestare al più ad una lettura animata; per non dire degli strambotti del Notturno, o di opere che tengono ancor più del narrativo." (Padoan 1978: 90). Indipendentemente da questo, è degno di nota il nome della nobile famiglia veneziana Venier, menzionato da Marin Sanudo. Forse che Sanudo si riferisce ad un antenato dei poeti veneziani Domenico e Maffio Venier che, come loro, accolse le correnti letterarie del suo tempo arricchendole a sua volta di contributi in veneziano? Purtroppo, l'indice dei nomi contenuto nel sesto tomo dei Diarii serve poco ad identificare il membro della famiglia Venier in questione. Ci informa solo del suo titolo, quello di "avvocato fiscale", non del suo nome, tanto da non poterlo individuare tra gli altri 34 Venier lì elencati (Sanudo, Diarii VI, 646–649).

28 ASV, Notai di Candia, b. 280.

29 ASV, Duca di Candia, memoriali, b. 32bis, Nr. 50,2 e 50,5.

30 ASV, Duca di Candia, memoriali, b. 32bis, Nr. 51,1 e 51,2.

31 ASV, Duca di Candia, memoriali, busta 33, reg. 1A e 1bis.

32 ASV, Duca di Candia, memoriali, a partire della busta 33.

33 19.6.–3.8. 1510, ASV, Duca di Candia, memoriali, b. 33, reg. 1bis.

34 ASV, Duca di Candia, litterarum missarum / missive e responsive, busta 8, fasc. 4 (in cattivo stato di conservazione, spesso mancano le parti esterne dei fogli).

35 ASV, Duca di Candia, bandi, busta 15, reg. 4.

 


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36 26.3. 1500, 13.3.1499, 23. 6. 1499, 6.6.1499; inoltre 12. 6. 1499, 8. 6. 1499, 26. 3. 1500mv, e 28.(o 29.)2.1500; ASV, Notai di Candia, b. 17, Nr. 4 e 5.

37 Ulteriori annotazioni: 1. 4. 1503 – 28. 2. 1504 mv, 1. 7. 1513 – 16. 8. 1514 e 1. 9. 1514 – 1. 11. 1522; ASV, Notai di Candia, b. 18, Nr. 1a, 1 e 2.

38 ASV, Notai di Candia, b. 177, reg. 8.

39 ASV, Notai di Candia, b. 191, regg. 2, 4 e 9.

40 ASV, Notai di Candia, b. 272, Nr. 2.

41 ASV, Notai di Candia, b. 274, regg. 1–3.

42 Delle 78 "missive segrete" datate tra il 30 maggio 1508 ed il 24 gennaio 1509mv, soltanto 2 sono in latino, e dei 435 bandi del periodo 19 agosto 1518 – 22 agosto 1526 soltanto 22 (ASV, Duca di Candia, litterarum missarum / missive e responsive, busta 8, fasc. 6 und bandi, busta 15bis, reg. 6).

43 28.7.–1.8. 1534: 26 annotazioni in latino, 8 in volgare, 9.–30.3.1542: 14 annotazioni in latino, 69 in volgare (ASV, Duca di Candia, memoriali, busta 34, fascicoli 10 e 14).

44 ASV, Duca di Candia, b. 50bis, Nr. 6, f. 48r, Nr. 128 "che li nod(ar)i debbino scriver li test(ament)ii in volgar 1531 die 16 januarii / in conss(igli)o di quaranta ad criminalia".

45 ASV, Notai di Candia, b. 147.

46 ASV, Notai di Candia, b. 191, filza 10.

47 26. 3. 1538 – 20. 10. 1549; inoltre 19. 4. 1539 – 11. 1. 1544, 24. 12. 1549 – 24. 4. 1550 e 21. 6. 1568 – 18. 1. 1572; poi 6. 5. 1559 – 22. 6. 1591; tutti in ASV, Notai di Candia, b. 168.

48 ASV, Notai di Candia, b. 147.

49 Vedi sopra; ultime annotazioni dal 1. 9. 1514 al 1. 11. 1522, ASV, Notai di Candia, b. 18, reg. 2.

50 ASV, Notai di Candia, b. 177, Manualetto A (1) (vacchetta).

51 ASV, Duca di Candia, Officiali, b. 55, 1, f. 16r.

52 Filza dal 30. 10. 1513–22. 4. 1560, frammento di protocollo 1. 11. 1518–18. 10. 1522 + 9. 10. 1524, protocollo 14. 11. 1544–4. 9. 1561, ASV, Notai di Candia, b. 146.

53 ASV, Notai di Candia, b. 169, Notar Pietro Mussuro e b. 274, Notar Marco Trevisan, regg. 1–3.

54 ASV, Notai di Candia, b. 274b; in questa ad esempio in testamenti cedole filza 1 dal 31. 10. 1535 (c. 29r–v), in testamenti cedole filza 2 dal 5. 6. 1532 (c. 217r), 6. 4. 1532 (c. 220r.), 6. 3. 1532 (c. 221r), 31. 3. 1532, 19. 5. 1534 (c. 270r–v) e 13. 7. 1533 (c. 273).

 


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55 "eine Politik, die sich nicht als Sprachpolitik versteht, die aber sprachliche Folgen hat (oft ist nicht entscheidbar, ob die Folgen beabsichtigt waren oder nicht)".

56 "Bevölkerungsverschiebungen (sowohl Zwangsumsiedlungen als auch freiwillige, auch vorübergehende Wanderungsbewegungen)".

57 ASV, Duca di Candia, bandi, busta 15, reg. 4, c. 27r-v; con questo bando venivano chiamati a farsi registrare tutti coloro che avessero comprato delle merci da un commerciante di stoffa poi fuggito.

58 Ambassaria delli cl(arissi)mi m(esser) Andrea Muazzo / et Benetto Barbarigo in ASV, Duca di Candia, busta 50bis, reg. 10 "Ambascerie di Candia e scritture diverse", c. 95v.

59 ASV, Duca di Candia, memoriali, busta 32bis, Nr. 50, 8, f.55v.

60 L'interesse di Bernardo per quello che succedeva nella cancelleria, evidente nel resoconto, fa supporre che l'imposizione del volgare nei memoriali, avvenuta intorno al 1540, come risulta dai registri pervenutici, sia da imputare non solo all'ordinamento sulla forma linguistica nei testamenti, ma anche ad una sua iniziativa personale. Un ordinamento in tal senso potrebbe non essere stato ancora trovato o essere andato perduto.

61 "dass alle Zitationen und Aktenstücke der venezianischen Organe der ersten Instanz in kroatischer Sprache mit glagolitischer Schrift abzufassen seien."

62 ASV, Duca di Candia, busta 55, officiali, reg. 3, c. 49r-v.

63 Ciò sembrerebbe invece dimostrato da testimonianze come quella che riguarda le frequenti nozze tra nobili veneziani e donne greche, secondo la quale i contratti di nozze venivano stesi in latino o in volgare, dopo di che il notaio andava dalla sposa per chiedere il suo assenso traducendo il contratto de verbo ad verbum greco sermone (Tiepolo 1998: 71).

64 Su questo punto gli abitanti delle colonie erano senza dubbio molto avvantaggiati, e l'intenzione di liberarsi della loro concorrenza viene indicato tra i motivi delle restrizioni per l'accesso a posti di cancelleria a Venezia stabilite nel 1569 (Neff 1985: 13).

65 Del resto i notai stessi potevano fare da insegnanti, come è documentato per Dulcigno (Schmitt 2001: 140).

66 Cf. Nota 63; Ambassaria delli cl(arissi)mi m(esser) Andrea Muazzo / et Benetto Barbarigo in ASV, Duca di Candia, busta 50bis, reg. 10 "Ambascerie di Candia e scritture diverse", c. 97r-v.

67 Nel manoscritto, una mano molto più tarda (forse un archivista?) ha aggiunto, evidentemente sulla base di un confronto con un altro manoscritto, delle correzioni a matita che riporto di seguito nelle note: diventano.

68 esser.

69 Peritio, che concorda anche con altre fonti.

70 costumato.

71 a leger

72 correzione di -ne in -ni fatta dalla prima mano.

73 è.

 


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74 l'ha.

75 augumentarli.

76 contribbution presente et fattura.

77 salario

78 fioli.

79 et.

80 "Die niedrigsten expliziten Formen der Sprachreglementierung sind Sprachempfehlungen oder -erlasse. Da es sich hier im allgemeinen um Verwaltungsvorschriften handelt, können sie relativ leicht an eine neue Sachlage angepaßt werden oder einer veränderten politischen Interessenlage Rechnung tragen, gleichgültig, ob es sich um Erlassen zum Status und Gebrauch von Sprachen handelt oder um solche, die sprachliche Formen zu reglementieren suchen. Verwaltungserlasse sind vielfach die Folge von Gesetzen, deren praktische Umsetzung sie als Durchführungsverordnungen zu regeln haben; oftmals regeln Verwaltungen aber sprachliche Fragen auch ohne vorherige gesetzliche Regelung." (Kremnitz 2001: 499).

81 "Das ausgehende Mittelalter [si badi alle periodizzazioni diverse che si manifestano nelle due lingue, in italiano si tratta dunque della fine del rinascimento, R. E.] scheint der Zeitpunkt zu sein, zu dem an zahlreichen Stellen in Westeuropa explizite sprachpolitische Regelungen zum ersten Mal formuliert werden." (Kremnitz 2001: 494).

82 "Ohnehin sollte man die mitunter vielfältigen Auswirkungen von eher schlichten technischen Anweisungen oder Regelungen nicht unterschätzen, selbst wenn diese zunächst nicht als sprachenpolitisch anzusehen sind." (Schneider 1996: 70)

83 Ringrazio il prof. Ulrich Detges per la segnalazione di questo esempio.

84 Ad esempio Dudan parla, rimandando a Cessi, di uno "stato cittadino, che mantenne fino all'ultimo tale suo carattere" (Dudan 1935: 6).

85 "Die verhängnisvolle Verknüpfung von sprachlicher Ambition mit staatlicher Macht und Durchsetzungskraft scheint in ausgeprägter Form für das Mittelalter nicht belegt." (Schneider 1996: 76)

86 "[...] daß es sich hierbei um den weitestgehenden Plan der Zerstörung einer Kultur handelt, der ohne Waffengewalt ausführbar ist".

87 Vale anche per Venezia stessa: "Ma Venezia non ha mai imposto il veneziano nelle sue colonie, nessun testo normativo parla di un livello di conoscenza elementare del veneziano richiesto agli stranieri quando essi hanno voluto creare le loro scuole." (Imhaus 1997: 401).



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