"…questa Casa è alta, la facciata per fianco è di passi 30… A terreno non vi sono loggie perché sono stanze ove sono cinque stanze da padroni ed doi che ne tiene il Sig. Vincenzo Giustiniani. Vi sono stanze poi per Palafrenieri, dispense et altri servitij, al primo piano vi è una sala con otto fra camere e anticamere…et vi è la Galleria et Cappelletta ove si dice messa…"

Palazzo Giustiniani è frutto di accorpamenti, trasformazioni, modifiche strutturali che dal Cinquecento si sono succedute fino ad oggi.

I primi lavori di adattamento risalgono agli anni 1585-1587 e si devono alla famiglia Vento, proprietaria dell'edificio o di una parte di esso prima dei Giustiniani. Fu alla morte di Pietro Vento (1588) che con ogni probabilità Giuseppe Giustiniani e il cardinale Benedetto, il maggiore dei suoi figli, presero residenza nel palazzo, dapprima in qualità di affittuari e poi come proprietari (1590).

Non è chiaro a chi attribuire la paternità dell’originaria architettura del palazzo, ma fonti e documenti menzionano i nomi di Giovanni Fontana e Carlo Maderno.

Nel 1600, alla morte di Giuseppe Giustiniani, i figli Benedetto e Vincenzo ereditarono il palazzo e continuarono ad abitarlo insieme, arricchendolo con le loro straordinarie raccolte di pittura e di scultura antica e moderna. Nei primi quattro decenni del Seicento, sotto l'ala protettrice del marchese Vincenzo, vi trovarono ospitalità numerosi artisti italiani e forestieri. Qui il cardinale Benedetto riceveva personalità ai più alti livelli della politica europea, in connessione con le prestigiose cariche da lui ricoperte nella carriera ecclesiastica. In una lapide conservata nel palazzo resta memoria che, nella cappella, Benedetto impose l’abito sacerdotale a S. Giuseppe Calasanzio, fondatore delle scuole pie per l'alfabetizzazione dei poveri.

Grazie alla lettura degli inventari è stato possibile comprendere come i due fratelli si fossero spartiti gli spazi a disposizione: Benedetto abitava al piano nobile, nell'appartamento orientato verso via dei Crescenzi e anche in quello verso via Giustiniani, un tempo del padre, mentre Vincenzo aveva per sé il secondo piano e le cosiddette tre stanze dei "quadri antichi". Dopo la morte del fratello maggiore tutto il palazzo rimase a disposizione del marchese.

Privo di eredi, Vincenzo lasciò ogni suo bene al figlio adottivo Andrea Giustiniani Banca, che nel 1640 sposò Maria Pamphilj, nipote del futuro papa Innocenzo X. Spinto dal prestigio conferitogli dall’illustre parentela, e dai nuovi oneri e privilegi conquistati alla famiglia, Andrea intraprese, a partire dall'anno giubilare 1650, un’ingente opera di ampliamento del palazzo, sotto la supervisione di Francesco Borromini, che inglobò nella costruzione lotti adiacenti man mano acquisiti. I lavori proseguirono, dopo la morte di Andrea, ad opera della moglie e del figlio Carlo Benedetto, con la costruzione dello scalone e del cortile, decorato da antichi bassorilievi. Ai primi del Settecento i suoi successori proseguirono l’espansione del palazzo fino a Piazza della Rotonda. Ancora frequentato da grand-tourists e da artisti nel XVIII secolo, e descritto in tutte le guide per la ricchezza della collezione che vi era ospitata, dall'inizio dell'Ottocento le sorti del palazzo andarono decadendo. Dispersa la raccolta di sculture e dipinti, tra la fine del Settecento e il primo quarto del secolo successivo, ad opera di Vincenzo Giustiniani junior; dal 1826, anno della morte dell’ultimo erede dei Giustiniani di Roma, il palazzo conobbe una fase di progressivo degrado, legata anche a complicati passaggi di proprietà. Affittato alla metà dell'Ottocento alla rappresentanza diplomatica dello zar di Russia e sede di studi di artisti, l'edificio veniva persino descritto da Gogol' come "uno dei più brutti palazzi di Roma, se non proprio il peggiore". Nel 1901 subiva l’attenzione delle cronache come sede centrale della Massoneria italiana. Il Gran Maestro era, all’epoca, il sindaco di Roma Ernesto Nathan. All'indomani dello scioglimento della Massoneria (1925), il palazzo veniva acquistato dallo Stato (1943), e ben presto destinato al Senato. Alcuni ambienti dell’appartamento nobile venivano riadattati e arredati per le nuove esigenze e per ospitare la residenza del presidente del Senato. In una di queste sale, la biblioteca, il presidente Enrico De Nicola firmò la Costituzione della Repubblica Italiana (27 dicembre 1947).