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Sarah Dessì (Tübingen)


Sul linguaggio e sull'alterità:
osservazioni sulle Sprachtheorien di Humboldt e di Hegel


This article intends to illuminate the numerous motives of affinity and discordance which connect the philosophical-linguistic theories of Humboldt and Hegel. It concentrates on the profound treatment of two motives: the criticism of the strumental conception of the language and the theme of alterity. In effect, these two motives, considered either alone or for the strong relationship that combine one to the other, represent without doubt, the theoretical principle from which arise the principial ideas of the philosophy of Humboldt and Hegel which are centered around the theme of language. In the first one finds one of the principal points of affinity, which explain on the one hand the rejection of every possible objectivation of the language, on the other hand the elevation of the state of the language to a spiritual level: the language is not only an instrument of communication. In the second motive, the opinion which the two philosophies had about the concept of alterity, one finds the principle point of difference. From the theme of "You" arise the principal points of their thoughts, either philosophical or linguistical: the consideration of humanity or the apriorism of "I"; the question of intersubjectivity; the evaluation of the state of materiality.

1 Introduzione

Da tempo la storiografia filosofica lamenta l'assenza di una comparazione tra i principali nuclei teorici delle Sprachphilosophien di Humboldt e di Hegel.1 Un vuoto storiografico da attribuire in parte al non facile reperimento di testimonianze storiche sulle relazioni personali ed accademiche occorse tra i due filosofi2, in parte, tuttavia, al pregiudizio di considerare quello tra i due un appuntamento teorico mancato.

Questo intervento si propone di mettere in luce i numerosi motivi di affinità e di discordanza che legano le teorie filosofico-linguistiche di Humboldt e di Hegel, concentrandosi tuttavia su una trattazione più approfondita di due tra questi: la critica alla concezione strumentalista del linguaggio, il tema dell'alterità. Motivi che – considerati sia di per sé, sia nella stretta relazione che congiunge l'uno all'altro – rappresentano fuor di dubbio il nucleo teorico dal quale si dipartono le linee principali della speculazione humboldtiana e hegeliana intorno al tema della Sprache. Dal punto di vista strutturale si compone di due paragrafi principali, nel primo dei quali viene affrontata l'analisi della concezione anticonvenzionalista che i due filosofi avevano del linguaggio, nel secondo quella della relazione che lega l'Io al Tu.



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2 L'antistrumentalizzazione del linguaggio

Nonostante le produzioni filosofico-linguistiche di Humboldt e di Hegel siano caratterizzate da una profonda lontananza speculativa e metodologica, è possibile individuare in esse numerose convergenze teoriche, che vanno ben al di là dall'essere identificati entrambi cittadini di quell'idealismo tedesco che affaccendò gli animi dei filosofi dell'epoca intorno a grandi temi comuni.

Trai punti di maggiore affinità3 è individuabile l'allontanamento dalla teoria convenzionalista, che si esplica nell'aspra critica rivolta alla concezione strumentale del linguaggio, nell'implicito 4 rifiuto di una sua possibile oggettualizzazione. Ciò che li distingue è il modo in cui al Convenzionalismo essi si oppongono. Da un lato, in effetti, l'atteggiamento critico humboldtiano affianca alla teorizzazione di una concezione organicista della lingua aspre prese di posizione antistrumentaliste, espresse chiaramente e in più d'un passo dei suoi scritti. Dall'altro, al contrario, l'opporsi di Hegel all'oggettualizzazione del linguaggio si manifesta implicitamente, consentendo all'interprete di coglierla soltanto tra le righe del suo discorso filosofico. Una tale opposizione, ossia, pur non venendo mai né programmaticamente teorizzata, né esplicitata, costituisce il fondamento stesso della Sprachtheorie hegeliana: lungi dal ridurlo ad un mero strumento di comunicazione, Hegel coglie nel linguaggio quel quid spirituale che interviene a mediare il momento dell'universale e quello del particolare nel procedere dialettico del suo sistema.

2.1 Già nelle prime opere linguistiche di Humboldt 5 l'attacco sferrato contro la parziale e riduttiva6 considerazione strumentale del linguaggio appare fortemente determinato. Quando la lingua viene oggettualizzata ed irrigidita in una concezione statica, essa perde ogni sua caratteristica spirituale e formativa. Perde, in breve, la sua stessa natura, scaturendo la Sprache dalla profondità dello spirito, dalle leggi del pensiero e dalla totalità di quell'organismo umano in cui si congiungono aspetti spirituali e intellettuali, immaginativi ed empirici.7 Ad Humboldt sembra assolutamente inaccettabile che la lingua venga ridotta ad un insieme di segni nati per pura convenzione al fine di nominare, di indicare gli oggetti di un mondo esistente di per sé8 e non esita a definire ”perniciosa”9 la teoria secondo la quale la Sprache deriverebbe e risponderebbe esclusivamente all'estrinseca, sociale esigenza di comunicazione dell'uomo.

La lingua sembra dunque a Humboldt propriamente insita nel mistero dell'umano essere-nel-mondo: essa ,”in connessione con l'uomo nella sua totalità e completezza e con quanto vi è di più profondo in lui”,10 viene considerata come un vero e proprio organismo vivente. Un concetto che consente di sottolineare ancora una volta due aspetti fondamentali della teoria humboldtiana:


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  • il ruolo centrale svolto dalla conoscenza del pensiero kantiano in quel processo intellettuale che conduce Humboldt alla considerazione del linguaggio come un organo, parte ed al contempo condizione di esistenza di quell'essere umano che è tale solo tramite il linguaggio;11

  • la lontananza di Humboldt da ogni tentativo di reificazione del linguaggio, che si coglie sia nel suo sottolinearne l'essenza dinamica, sia – paradossalmente – nell'assenza di una vera e propria definizione concettuale di esso. Humboldt, ossia, rifiuta ogni rigida formula fissa, ritenendo che una qualsiasi definizione etichetti con un termine – e quindi fissi irrimediabilmente, oggettualizzi, appunto – la realtà dinamica della lingua. La Sprache, in quanto enèrgeia non deve prestarsi ad alcuna compiuta concettualizzazione12, rifuggendo qualsiasi definizione linguistica che sia delimitante ed univoca, che non sia, cioè, una metafora.13

Da una tale posizione conseguono sia una risoluzione – nel senso di un esclusione del tema dall'orizzonte della ricerca filosofica humboldtiana – del problema dell'origine del linguaggio, sia l'esplicitazione di una radicale concezione dell'intersoggettività, posta a fondamento dell'intera teoria di Humboldt. Da un lato, in effetti, l'origine della Sprache, essendo connessa alla misteriosa natura dell'uomo, non può assolutamente essere compresa e giustificata come opera dell'intelletto nella chiarezza della coscienza14 e sfugge, pertanto, ad ogni successiva indagine. Dall'altro, questa lingua che esprime ”un bisogno insito nella natura stessa dell'uomo [è] indispensabile per lo sviluppo delle sue forze spirituali e per il conseguimento di una visione del mondo a cui l'uomo può pervenire soltanto rendendo chiaro e determinato il proprio pensiero nel pensare in comune con gli altri.”15

2.2 Come è noto, Hegel non ha mai scritto un'opera che scegliesse il linguaggio come specifico ed autonomo oggetto di studio. Quest'ultimo rappresenta, tuttavia, un tema di fondamentale importanza nella produzione hegeliana, che ne viene copiosamente e costantemente accompagnata ”dai diari di Stoccarda fino alla seconda Prefazione alla Logica”.16 Se da un lato, ciò comporta che la sua Sprachtheorie appaia disorganica, disseminata in scritti differenti e trasformata al modificarsi del pensiero hegeliano nel tempo, dall'altro non impedisce certamente l'individuazione in essa di elementi di continuità che ne rappresentano le caratteristiche peculiari.17


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Sin dalle sue prime osservazioni sul linguaggio18, Hegel esprime con chiarezza cosa egli intendesse per Sprache e a quale ambito la ascrivesse, testimoniando l'implicita opposizione nei confronti di ogni sua strumentalizzazione. Si pensi alla funzione che il filosofo attribuisce al linguaggio – parallela a quella del lavoro – di medium ideale, che è cioè capace di elevare la singolarità all'universalità, di esprimere e dare esistenza all'interiorità; si pensi alla sua complessa analisi della natura del segno linguistico, come a quella del meccanismo desensibilizzatore della nominazione; si pensi infine alla caratteristica spiritualità, all'universalità di cui la Sprache, a parere di Hegel, è dotata.

Già nella Fenomenologia19 Hegel definisce il linguaggio come un momento del dispiegarsi e del mostrarsi dello spirito. Si allude in particolare a quello che Hegel chiama il linguaggio dell'autocoscienza intimamente disgregata, il Sé umiliato che grida la propria indignazione e si rivela come l'espressione di un'epoca che volge alla fine: il linguaggio della disgregatezza. In queste pagine fenomenologiche Hegel si ispira al testo diderottiano de Il nipote di Rameau, nel quale scorge un'imagine speculare del mondo della ricchezza reificatrice del Sé. La caratteristica peculiare della voce di questa autocoscienza indignata, nell'opinione di Hegel, è la perfezione;20 nel linguaggio della disgregatezza, in effetti, si esprime ”lo spirito di questo mondo reale della cultura, spirito che è cosciente di sé nella sua verità e del suo concetto.”21 L'esserci dello spirito del mondo della cultura è, dunque, l'universale parlare e il disgregante giudicare, nel quale e per il quale si dissolvono tutti quei momenti che sembravano possedere stabilità. Questi momenti – le essenze appunto – dissolvendosi diventano finalmente membri effettuali dell'intero; e l'intero, a sua volta, è un gioco con se stesso che si dissolve.

Questo linguaggio della disgregatezza è il Vero, è ”ciò di cui soltanto e davvero ci si deve occupare in questo mondo reale”, dal momento che tramite esso ogni parte di quest'ultimo viene con spirito espressa. Di fronte a ciò l'atteggiamento dell'onesta coscienza del filosofoso22 configura come ottusa: essa considera ogni momento un'essenza stabile e non sa, essendo priva di spirito, di operare contrariamente al proprio intento. La clientelare coscienza disgregata, al contrario, mette in dubbio ogni valore, raduna tutti i pensieri contrari, assiste al richiamarsi degli opposti; è, in breve, la coscienza dell'inversione assoluta e il suo linguaggio, il linguaggio del concetto, è perciò scintillante di spirito. Questo ”spiritoso”23 linguaggio dell'Illuminismo non è però soltanto il parlare di un bohémien ironico e tragicomico, è piuttosto la verità del mondo della cultura che un filosofo ingenuo, vale a dire non-dialettico, non è in grado di cogliere. È il linguaggio di un'intera società che riesce a recuperare una minima stima di sè solo sapendo e dicendo con franchezza la vanità del proprio mondo. Il linguaggio della disgregatezza, in breve, è il tramite grazie a cui diviene possibile la riflessione dello spirito24 in se stesso, il ritorno in sé dello spirito, ”è perciò il suo supremo interesse e la verità dell'intiero. In tale linguaggio questo Sé, come questo puro Sé non appartenente alle determinazioni effettuali o pensate, diventa a Sé lo Spirituale che ha veramente una validità universale.”25


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Appare dunque assai evidente come lo statuto che Hegel attribuisce al linguaggio straripi e rompa gli argini del fiume convenzionalista; e ciò non soltanto nelle pagine della più linguistica delle sue opere. Ad esempio, si legge ancora nella Filosofia dello spirito jenese: ”Il nome esiste come linguaggio. Il linguaggio è il concetto esistente della coscienza; esso perciò non si fissa, [ma] immediatamente cessa [di essere] proprio mentre è; esso esiste nell'elemento dell'aria, come un'esteriorità, [nell'elemento] della libera, informe fluidità; poiché il linguaggio è altrettanto assolutamente fuori di sé quanto è; esso ha l'esistenza universalmente comunicante.”26

Eppure lo straripare hegeliano inonda e feconda campi ben diversi da quelli humboldtiani. Se, in effetti, ad una prima lettura questo periodo può lasciare intendere la possibilità di un avvicinamento della concezione organicista del linguaggio elaborata da Humboldt alla visione hegeliana della Sprache, un'analisi piú attenta, sia dei passi immediatamente precedenti e successivi a questo, sia delle altre produzioni di Hegel, conduce ad un'opposta interpretazione.

Un'interpretazione che trae la propria origine dalla comparazione del concetto di universalità e, principalmente, del concetto di individuo nelle teorie dei due filosofi.


3 Il Tu

Humboldt, come s'è detto, considera l'essenza radicalmente dinamica del linguaggio nella sua prospettiva universale, costitutiva dell'Io e del mondo; la concepisce, ossia, nella sua spiritualità e nel contempo nella sua naturalità. L'universalità della Sprache hegeliana, diversamente, è quella dello spirito di cui essa è una manifestazione; è l'universalità che astrae e dematerializza, che ”entifica” le cose conferendo loro una seconda esistenza diversa da quella naturale.27 Già analizzando in generale l'opinione che i due filosofi avevano del concetto d'universalità si può dunque cogliere la distanza intellettuale che separa le formulazioni di Humboldt e di Hegel intorno al tema del linguaggio. È nella relazione che lega l'Io al Tu, nello statuto dell'intersoggettività, tuttavia, che si può individuare il nodo tematico rispetto al quale le speculazioni dei due si oppongono inconciliabilmente; in questa stessa relazione si coglie inoltre il nucleo teorico da cui si dipartono le linee principali del loro pensiero sia filosofico, sia linguistico: la considerazione del ruolo dell'umanità28 o dell'apriorismo dell'Io; la questione dell'intersoggettività; la valutazione dello statuto della sensibilità; la concezione idealistico-dialettica o dialettico-antinomica dell'articolarsi della struttura del reale.29


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3.1 Il modo assai differente in cui Hegel e Humboldt intesero il concetto di individuo si coglie, ancor prima di affrontare un'analisi dei contenuti filosofici delle loro teorie, esaminando la terminologia che sin dai loro primi scritti i due hanno scelto per indicarne lo status. Hegel per denominare l'individuo ha sempre preferito un nome che ne dematerializzasse, che ne universalizzasse il più possibile i tratti empirici. È innegabile, in effetti, che un'entità empiricamente connotata sarebbe stata scomoda da trattare nella analisi hegeliana dell'iter compiuto dallo spirito. Humboldt, al contrario, rifuggendo ogni sforzo d'astrazione, ha sempre attinto alla materia quotidiana d'indagine e d'osservazione per esprimersi sull'uomo, sullo spirito e sulla relazione che circolarmente li unisce. Di ”autocoscienze” parla dunque Hegel, di ”Io” e ”Tu” preferisce parlare Humboldt: due opzioni che riflettono adeguatamente le personalità e le caratteristiche intellettuali dei due. L'Io humboldtiano porta in sé un'unica caratteristica universale ed assoluta: l'assolutezza, appunto, della propria umanità, vale a dire della propria spiritualità e insieme della propria materialità – talora intesa persino nei suoi aspetti più radicali ed originari, quali quelli sessuali.30 Una tale visione dell'individualità riflette, a ben guardare, l'intero progetto esistenziale e filosofico di Humboldt, sempre aspramente critico nei confronti di ogni filosofia che perda di vista la concretezza dell'umano-essere-nel-mondo e si abbandoni ad un astratto idealismo. Egli intende raccontare, traducendolo in una teoria che non si irrigidisce in un sistema puramente formale31, la natura di quel soggetto che dialogicamente costituisce se stesso ed il proprio mondo tramite ”la vivezza del senso della lingua”.

Non c'è nulla di umano, al contrario, in quell'autocoscienza perennemente occupata a spogliarsi dei suoi tratti naturali ed empirici per raggiungere l'universalità. Hegel usa toni assai differenti anche quando si occupa dell'individuo in qualità di Io empirico; cosa che, comunque, accade assai di rado e che non gli impedisce di mantenere al centro della sua indagine l'Idea nel suo svolgersi e manifestarsi. Si legge nell'Enciclopedia: ”L'universalità, secondo cui l'animale come individuo è un'esistenza finita, si mostra in lui come la potenza astratta al finir del processo, anche astratto, che si svolge dentro di lui. La inadeguatezza dell'animale all'universalità è la sua malattia originale; è il germe innato della morte. La negazione di questa inadeguatezza è appunto l'adempimento del suo destino. L'individuo si nega in quanto esso modella la sua singolarità all'universalità; [...] ma siffatta identità che si è raggiunta con l'universale, è la negazione del contrasto formale, dell'individualità immediata e dell'universalità dell'individualità; ed è un lato soltanto e cioè il lato astratto, la morte del naturale. Ma, nell'idea della vita, la soggettività è il concetto; ed essa è quindi, in sé, l'essere in sé assoluto della realtà, e l'universalità concreta. Mediante l'indicata negazione dell'immediatezza nella sua realtà, essa si è fusa con se medesima: l'ultima esteriorità della natura è negata; e il concetto, che nella natura è soltanto in sé, è diventato concetto per sé. La natura è, per tal modo, trapassata nella sua verità, nella soggettività del concetto il quale ha come sua esistenza la realtà che gli è corrispondente, il concetto. Tale è lo spirito.”32


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La speculazione hegeliana, contrariamente a quella humboldtiana, è evidentemente assai lontana da ogni forma di attenzione verso l'antropologia kantianamente intesa. L'individuo di Hegel non si costituisce in un'armonica dialettica di un elemento spirituale, universale, e di uno materiale, particolare. Esso, al contrario, si inabissa in un sentimento di grave mancanza, generato dalla propria inadeguatezza in quanto singolo all'universalità del genere.33 Ogni suo comportarsi verso l'altro è soltanto ”un comportarsi negativo e nemico”34, e persino il suo rapportarsi sessualmente all'altro deriva dal bisogno di fondersi ad esso nel tentativo di superare la propria, parziale e elimitata, singolarità e raggiungere l'universalità.35

Un'attenzione più analitica ai testi non può che spingere a ribadire la tesi da cui si erano prese le mosse e ad individuare proprio nella concezione dell'individuo e dell'alterità il nucleo teorico che pone su due piani non comunicanti le filosofie di Humboldt e di Hegel. Ciò che, da un lato, rappresenta l'interesse primo e la meta ultima di Hegel – ossia l'analisi di un processo unitario, articolato in diversi momenti storicamente e dialetticamente concepiti e volto alla conquista del sapere assoluto da parte dello spirito – è un modo di intendere la filosofia assolutamente estraneo ad Humboldt. Quella che, dall'altro, quest'ultimo ritiene l'unica possibile maniera, veramente filosofica, di considerare lo svolgersi dello spirito è bollata con l'accusa di non-filosoficità da Hegel.

3.2 La lettura delle pagine fenomenologiche dedicate alla descrizione della relazione che lega il servo e il signore fa cogliere – sulle prime – un'affinità tra le considerazioni sull'alterità espresse da Humboldt e quelle formulate da Hegel. All'analisi di un'autocoscienza che fa esperienza dell'appetito, del suo oggetto come indipendente, come altro da sé, segue dialetticamente quella di un'autocoscienza che ”raggiunge il suo appagamento soltanto in un'altra autocoscienza.”36 Essa, ossia, è tale – sostiene Hegel – solo in quanto presuppone il proprio riconoscimento da parte di un'altra autocoscienza.37

Ma, a ben guardare, in questi passi si coglie una soltanto apparente analogia di contenuti tra la teoria humboldtiana e quella hegeliana, persino accantonando il motivo che maggiormente le distingue, ossia il fatto che soltanto nella teoria di Humboldt questo relazionarsi tra soggetti in vista della reciproca autocostituzione si concretizza tramite l'atto linguistico.38


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Una tale opinione si può difendere considerando le differenti modalità attraverso le quali questa reciproca autofondazione si effettua nelle concezioni dei due. Vale a dire: nella teoria filosofico-linguistica humboldtiana la dualità, profondamente ed originariamente radicata nell'indivisibile organismo dello spirito e nelle leggi del pensiero39, viene positivamente o, per meglio dire, generativamente considerata. La necessità che un Io ha di essere riconosciuto da un Tu per affermare se stesso e il proprio mondo è una necessità legittima e costruttiva, scoperta ed esaltata da Humboldt. I soggetti che dialogano pongono effettivamente in essere la propria e l'altrui egoità, in vista di una pacifica, ”affettuosa” affermazione sia spirituale che intellettuale.40 L'Io e il Tu di Humboldt sono certamente ben lontani dal porsi l'uno di fronte all'altro bellicosamente, al fine di realizzare il faticato reciproco ”superamento”. La visione humboldtiana dell'Io e del mondo, del linguaggio, dello spirito e del pensiero stesso si delinea come radicalmente intersoggettiva, come profondamente condizionata dal concetto di dualità: ”Già il pensiero è accompagnato essentialiter dall'inclinazione all'esistenza sociale; e l'uomo anche allo scopo del suo semplice pensare e prescindendo da ogni relazione fisica ed emotiva, anela ad un ”Tu”, che corrisponda all'”Io” e gli sembra che il concetto raggiunga contorni certi e precisi solo quando irraggi riflesso dalla facoltà del pensare di un altro. Il concetto nasce staccandosi dall'agitata massa dell'immaginare e prendendo forma di oggetto di fronte al soggetto. L'obiettività appare però ancor più compiuta quando questa scissione non avviene soltanto all'interno del soggetto, bensì quando colui che immagina vede il pensiero realmente estrinsecato, ciò che è possibile solo in un altro essere che immagina e pensa come lui.”41

La posizione di Hegel è assai diversa da quella ora analizzata. Egli è, in effetti, ben lontano dal sostenere che sia la relazione di un altro con l'Io a generare tutti i sentimenti più nobili e profondi dell'essere umano; che sia proprio quello tra due persone il rapporto più alto ed intimo. Al contrario, concepisce quella con l'alterità come una relazione conflittuale, che ha le tinte scure della morte: ”la relazione di ambedue le autocoscienze è dunque così costituita che esse danno prova reciproca di se stesse attraverso la lotta per la vita e per la morte. Esse debbono affrontare questa lotta perché debbono, nell'altro e in se stesse, elevare a verità la certezza loro di essere per sé. E soltanto mettendo in gioco la vita si conserva la libertà [...] L'individuo che non ha messo a repentaglio la vita può ben venir riconosciuto come persona; ma non ha raggiunto la verità di questo autoriconoscimento come riconoscimento di un'autocoscienza indipendente. Similmente ogni individuo deve aver di mira la morte dell'Altro, quando arrischia la propria vita, perché per lui l'Altro non vale più come lui stesso.”42


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Va a ciò aggiunto che nella distinzione che Hegel compie tra certezza e verità dell'autoriconoscimento è facile cogliere l'ombra di una concezione dell'intersoggettività non totalmente convincente. Si intende riferirsi ad una quanto meno curiosa scelta terminologica hegeliana, quella del termine Verdopplung. Si legge nella Fenomenologia dello spirito: ”Il concetto di questa sua [dell'autocoscienza] unità nella sua duplicazione, ossia il concetto dell'infinità realizzantesi nell'autocoscienza, è un intreccio multilaterale e polisenso; e così i momenti di siffatto intreccio debbono in parte venir tenuti gli uni fuori dagli altri, in parte, in questa distinzione, venire in pari tempo anche presi e conosciuti come non distinti, ossia debbono venir presi sempre e riconosciuti nel loro significato opposto. Il doppio senso del distinto sta nell'essenza dell'autocoscienza, essenza per cui l'autocoscienza è infinitamente e immediatamente il contrario della determinatezza nella quale è posta. L'estrinsecazione del concetto di questa unità spirituale nella sua duplicazione ci presenta il movimento del riconoscere.”43

Ora, agli hegeliani che concepiscono quel ”concetto del puro riconoscimento” come ”duplicazione dell'autocoscienza nella sua unità”44 ed obbiettano che nella speculazione di Hegel la considerazione dell'alterità è profondamente costitutiva e tutt'altro che fittizia, bisogna ricordare che l'autonomia della coscienza nella propria certezza interiore è già dall'inizio perfettamente costituita. Essa, in effetti, necessita dell'alterità soltanto nel momento in cui un rivolgimento dialettico successivo – sia pure, di grado superiore – le consentirà di elevare la certezza di sé, di cui è già in possesso, a quella verità di cui ancora è priva.

A quegli stessi hegeliani che insistono nel ribadire, con le parole del maestro, che ”l'operare [dell'autocoscienza] non ha [...] un duplice senso solo in quanto esso è un operare sia rispetto a sé, sia rispetto all'Altro; ma lo è anche perché è inseparatamente l'operare tanto dell'uno, quanto dell'Altro”45, si deve obbiettare che l'Altro a cui l'autocoscienza si rivolge è difficilmente pensabile se non come astratto termine di confronto concepito in funzione dell'autocoscienza confrontantesi. Esso ha, in effetti, perso ogni sua caratteristica peculiare, configurandosi piuttosto come uno degli estremi in cui si scompone un supremo termine medio, il quale, appunto, si configura come l'unità originaria. E quel termine medio, si può sostenere con le parole del medesimo maestro, ”è l'autocoscienza che si scompone negli estremi, e ciascun estremo è questa permutazione della sua determinatezza ed è assoluto passaggio nell'estremo opposto.” (ivi, §19)



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4 Conclusione

In questo breve intervento, accogliendo le preziose indicazioni dei pochi interpreti moderni che di questa indagine in parallelo si sono occupati, si è inteso sottolineare quanto numerosi e complessi siano i temi e le ragioni che possono motivare una ricerca sulle consonanze e le discordanze delle speculazioni linguistico-filosofiche di Humboldt e di Hegel. Si è ricordato come, nonostante le elaborazioni dei due filosofi intorno al tema della Sprache siano caratterizzate da una profonda lontananza speculativa e metodologica, sia possibile individuare in esse convergenze teoriche non limitabili alla condivisione da parte dei due della medesima atmosfera culturale. Tra i punti di maggiore affinità si è rintracciata la critica – pur espressa da Humboldt e da Hegel attraverso modalità assai differenti – alla concezione strumentale e convenzionalista del linguaggio; una critica che si esplica da un lato nel rifiuto d'ogni possibile oggettualizzazione della Sprache, dall'altro nell'elevazione del suo statuto a vette spirituali, difficilmente costringibili tra gli angusti confini di una teoria che l'intende come mero strumento di comunicazione. Nell'opinione che i due filosofi avevano del concetto di alterità si è individuata, invece, la questione teorica in cui al meglio si può cogliere la distanza intellettuale che separa le formulazioni humboldtiane e hegeliane intorno al tema del linguaggio e si è sottolineato proprio come intorno al tema del Tu si articolano i nuclei principali del loro pensiero sia filosofico, sia linguistico: la considerazione dell'umanità o dell'apriorismo dell'Io; la questione dell'intersoggettività; la valutazione dello statuto della sensibilità; la concezione idealistico-dialettica o dialettico-antinomica dell'articolarsi della struttura del reale.

Se a questo punto ragioni d'ordine formale imporrebbero la stesura di alcune pagine conclusive, la natura stessa di questo intervento ne ostacola tuttavia una compilazione ordinata e sistematica. Una tale ricognizione, in effetti, né pretende definirsi esaustiva, né addirittura può dirsi conchiusa; e ciò sia per la possibilità di un ampliamento dei temi che nelle filosofie di Humboldt e di Hegel sono analizzabili in parallelo, sia perché chi scrive ha inteso fondarla su di un principio humboldtiano e dialettico: ogni lavoro di ricerca e di interpretazione è un lavoro in corso, in cui i contenuti e le tesi esposte, lungi dal voler rappresentare un punto d'arrivo irremovibile, intendono piuttosto proporsi come uno spunto che consenta la nascita e lo sviluppo di un nuovo progetto.




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NOTE

1 Ferrarin (1987: 144).
2 Motivi di spazio impediscono in questa sede una, pur interessante, ricostruzione storica di tali relazioni, per la quale si rimanda ai numerosi articoli di Clemens Menze citati in bibliografia, alla Introduzione di Giovanna Pinna a Hegel (1986) ed a Dessì (1997).
3 Per un'analisi di alcuni motivi che accomunerebbero le prospettive filosofico-linguistiche di Humboldt e di Hegel cfr. J. Simon (1993).
4 Un'esplicita e radicale presa di posizione nei confronti dell'oggettualizzazione del linguaggio si è avuta soltanto agli inizi del nostro secolo ad opera di Heidegger. Si può, tuttavia, affermare che l'opposizione di Humboldt e Hegel ad una considerazione strumentale ed oggettuale della Sprache sia stata, sebbene implicita, altrettanto radicale. Essi, in effetti, si rifiutano di ridurre il linguaggio ad un mero strumento di comunicazione e lo intendono come un'energica manifestazione dello spirito; ne sottolineano, pertanto, l'essenza in divenire che non è sclerotizzabile in fisse definizioni linguistico-concettuali.
5 Cfr. Humboldt (1903–36: III, 137–170).
6 Cfr. Humboldt (1903–36: VI/1, 22–23: ”L'interpretazione più ovvia e più immediata della lingua, ma anche la più limitata, è quella di considerarla un semplice strumento di comunicazione. [...] La lingua però non è assolutamente un semplice strumento di comunicazione, bensì l'impronta dello spirito e della visione del mondo dei parlanti; la socialità è lo strumento ausiliario indispensabile allo sviluppo della lingua, ma è ben lungi dal rappresentare l'unico scopo che essa persegue; tale scopo infatti trova il suo punto d'arrivo, nonostante tutto, nell'individuo, per quanto è possibile separare il singolo dal resto dell'umanità.” [Cf. appendice]
7 Cfr. Humboldt (1903–36: VI/1, 5).
8 Cfr. Humboldt (1991, 46–47): ”Anche in considerazione di ciò che viene prodotto mediante il linguaggio, non trova conferma l'idea secondo la quale esso designerebbe semplicemente gli oggetti già percepiti. Tale idea anzi non consentirebbe mai di dare pienamente conto del profondo e inesauribile contenuto del linguaggio. Come senza il linguaggio non è possibile alcun concetto, così, neppure per l'anima vi potrà essere alcun oggetto, poiché perfino l'oggetto esterno acquista per essa compiuta essenzialità solo mediante il concetto. [...] L'uomo si circonda di un mondo di suoni per accogliere in sé ed elaborare il mondo degli oggetti [...]L'uomo vive principalmente cogli oggetti e quel che è più [...] egli vive cogli oggetti percepiti esclusivamente nel modo in cui glieli porge il linguaggio.” [Cf. appendice]
9 Cfr. Humboldt (1903–36: III, 167).
10 Ivi: 30.
11 ”Der Mensch ist nur Mensch durch Sprache”, Humboldt (1903–36: IV, 15).
12 Il linguaggio, nascendo dalla generale facoltà e necessità dell'uomo di parlare, si sprigiona in tutta la sua originarietà e naturalità con la forza dell'istinto: ”se mai è possibile paragonare a qualcosa d'altro ciò di cui propriamente non c'è nulla d'uguale in tutto l'ambito del pensabile, si può menzionare l'istinto naturale degli animali e chiamare la lingua un istinto naturale intellettuale della ragione”, ibidem. [Cf. appendice]
13 Cfr. sulla metafora in Humboldt Di Cesare, Introduzione, in: Humboldt (1991: XXIV–XXVI).
14 Cfr. Humboldt (1903–36: IV, 14).
15 Humboldt (1991, 15). [Cf. appendice]

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16 Ferrarin (1987). Già dai primi anni dell'Ottocento, in effetti, durante il fecondo periodo giovanile che Hegel trascorse a Jena, nei suoi scritti compariva il tema della Sprache e del lavoro intesi come termini medi tra l'universale e l'individuale; e prima ancora dei cenni presenti nella Scienza della Logica, della trattazione più attenta e particolareggiata affrontata nelle sue lezioni di estetica e nei celebri paragrafi dell'Enciclopedia, spicca per originalità e profondità l'analisi delle molteplici forme linguistiche improntata da Hegel nella Fenomenologia.
17 È nel lavoro di Bodammer (1969) che per la prima volta queste peculiarità vengono evidenziate, insieme alla varietà delle considerazioni hegeliane intorno al tema della Sprache e alla loro connessione con l'atmosfera culturale dell'epoca.
18 Per D. J. Cook (1973) addirittura in maniera esemplare: ”In the Jensener Philosophie des Geistes (1805/1806), Hegel deepens his conception of language and shows considerable originality.[...] Hegel's discussion on naming and language occours almost at the outset of this draft and occupies a major part of the section on subjective Spirit. The close relationship between the nature of language and the development of consciousness is never made explicit in Hegel's writings.”
19 La Fenomenologia dello spirito è lo scritto tra gli altri in cui le osservazioni che Hegel formulò sul linguaggio appaiono in maggior numero e varietà. Il primo accenno alla Sprache è posto in apertura di testo, nella sezione dedicata alla certezza sensibile, cenni ulteriori compaiono nel V cap., in cui viene affrontata la trattazione della fisiognomica e della frenologia. È, però, certamente il VI capitolo – quello in cui Hegel si occupa dello Spirito – il luogo teorico in cui in modo più ampio ed originale compare il tema dei linguaggi e della Sprache nel suo senso più specifico, intesa ovvero come termine medio tra l'universale e l'individuale. In particolare è nella sezione dedicata alla Bildung, allo spirito estraniato, nell'improntare l'analisi storica di alcune celebri figure fenomenologiche, che Hegel tratta le loro corrispondenti modalità espressive: il linguaggio del consiglio, il linguaggio dell'adulazione, quello della disgregatezza.
20 ”Il linguaggio della disgregatezza peraltro è il linguaggio perfetto, e il vero spirito esistente di questo mondo della cultura. Questa autocoscienza alla quale si addice l'indignazione che ripudia il suo ripudio, è immediatamente l'assoluta autoeguaglianza nell'assoluta disgregatezza, è la pura mediazione della pura autocoscienza con se medesima.”, Hegel (1960: II, 70, §83).
21 Ivi: 71, §83.
22 Si deve continuare ad immaginare un parallelo con Il nipote di Rameau: i "personaggi" fenomenologici sono quelli del dialogo diderottiano.
23 Negri (1975: 483).
24 Cfr. Hyppolite (1972: 510).
25 Hegel (1960: II, 77, §89).
26 Hegel (1984: 25).

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27 Si legge in un frammento della Filosofia dello Spirito jenese del 1803–1804 (p.25): ”Nel nome è tolto il suo essere empirico, cioè che esso è un concreto, un molteplice in sé, un vivente ed un essente, [ed] esso è trasformato in essente-ideale puramente semplice in sé”. Ed ancora nella Filosofia dello Spirito jenese del 1805–1806 (p.74): ”Mediante il nome l'oggetto nasce venendo fuori dall'Io come essente. Questa è la prima forza creativa che lo spirito esercita; Adamo diede un nome a tutte le cose, questo è il diritto di sovranità sull'intera natura, la prima appropriazione di essa, ovvero la sua creazione da parte dello spirito.” Infine, nell'Enciclopedia delle scienze filosofiche (p.404, §459): ”Il linguaggio, dà alle sensazioni, intuizioni e rappresentazioni una seconda esistenza, più alta di quella immediata, un'esistenza in universale, che ha vigore nel dominio della rappresentazione.” [Cf. appendice]
28 Intesa nella sua globalità, come sintesi di spiritualità e sensualità, profondamente radicata nell'empiria ed in opposizione alla concezione puramente trascendentale o anche idealistica dell'Io.
29 Intesa nella sua accezione kantiana, ovvero dialettico-antinomica. Non si può parlare nella teoria humboldtiana né di una totale assenza della dialettica, né ancor meno della presenza di una concezione che calchi quella dialettico-hegeliana. Confronta per un approfondimento di questa tesi L. Formigari (1977). In questo testo si sostiene (p.83) che la dialettica idealistica sarebbe il principio metodico intrinseco della linguistica di Humboldt. È assai probabile, tuttavia, che la presenza nella speculazione humboldtiana di concetti quali quelli di sintesi o di dialettica vadano interpretati inserendoli nella prospettiva trascendentale di Kant. Chi scrive ritiene – accogliendo le tesi di Cassirer e Trabant – che proprio il trascendentalismo sia la cornice naturale in cui si inscrive il pensiero di Humboldt, pur tenendo conto della radicale trasformazione linguistico-dialogica del criticismo introdotta da Humboldt.
30 Per un approfondimento del tema cfr. Trabant (1994: 201–207).
31 ”A dire il vero Humboldt è uno spirito profondamente sistematico, ma è nemico di ogni tecnica puramente esteriore della sistemazione. Avviene così che nello sforzo di presentarci sempre in ogni singolo punto della sua ricerca anche l'intera sua concezione del linguaggio, egli è restio alla chiara e precisa suddivisione di questo tutto.” Questa l'opinione – condivisa – di E. Cassirer (1961: 116). [Cf. appendice]
32 Hegel (1907: 330–331, §§375–376). [Cf. appendice]
33 Cfr. ivi: 326, § 369.
34 Ibidem. [Cf. appendice]
35 ” Questa relazione [con l'alterità] è processo che comincia con il bisogno perché l'individuo come singolo non è adeguato al genere immanente[...] Il genere è perciò nell'individuo come tensione verso l'inadeguatezza della sua singola realtà, l'impulso a raggiungere in un altro individuo del suo genere il suo sentimento di se stesso, d'integrarsi mediate l'unione con l'altro e, attraverso questa mediazione, congiungere il genere con sé e recarlo a esistenza. Questo impulso dà luogo all'accoppiamento”, ibidem.
36 Hegel (1960: I, 151, §10).

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37 Ivi: 153, §13.
38 Cfr., tuttavia, sulla ”linguisticità” della coscienza e sul linguaggio come ”presupposto” degli stessi concetti cardine della teoria hegeliana Simon (1966).
39 Cfr. Humboldt (1903–36: VI, 25).
40 Cfr. Ivi: 27 e ancora sul tema Trabant (1994: 204).
41 Humboldt (1903–36: VI, 26). [Cf. appendice]
42 Hegel (1960: I,157, § 22).
43 Ivi: 153, §13; cfr. anche §§14–15.
44 Sia consentito notare che l'uso del termine "duplicazione" (Verdopplung) presuppone un'originaria unica autocoscienza (costituitasi immediatamente, sia pure cioè ad un livello dialettico inferiore, senza il necessario ricorso all'alterità) che, costituendo l'altra autocoscienza, appunto come una propria duplicazione, configurandola ossia come il suo semplice doppio, quanto meno la priva dei suoi specifici connotati.
45 Hegel (1960: I, 155, §18).


APPENDICE

Nota 6: Humboldt 1903–36: VI/1, 22–23.
"Die zunächst liegende, aber beschränkteste Ansicht der Sprache ist die, sie als ein blosses Verständigungsmittel zu betrachten. [ ... ] Die Sprache ist aber durchaus kein blosses Verständigungsmittel, sonder der Abdruck des Geistes und der Weltansicht der Redenden, die Geselligkeit ist das unentbehrliche Hülfsmittel zu ihrer Entfaltung, aber bei weitem nicht der einzige Zweck, auf den sie hinarbeitet, der vielmehr seinen Endpunkt doch in dem Einzelnen findet, insofern der Einzelne von der Menschheit getrennt werden kann."

Nota 8: Humboldt 1903–36: VII/1, 59–60.
"Auch bei der Betrachtung des durch die Sprache Erzeugten wird Vorstellungsart, als bezeichne sie bloss die schon an sich wahrgenommen Gegenstände, nicht bestätigt. Man würde vielmehr niemals durch sie den tiefen und vollen Gehalt der Sprache erschöpfen. Wie, ohne diese, kein Begriff möglich ist, so kann es für die Seele auch kein Gegenstand seyn, da ja selbst jeder äussere nur vermittelst des Begriffes für sie vollendete Wesenheit erhält. [ ... ] Er [der Mensch] umgiebt sich mit einer Welt von Lauten, um die Welt von Gegenständen in sich aufnunehmen und zu bearbeiten.[ ... ] Der mensch lebt mit der Gegenstände hauptsächlich, ja, da Empfinden und Handlen in ihm von seinen Vorstellungen abhängen, sogar ausschliesslich so, wie die Sprache sie ihm zuführt."

Nota 12: Humboldt 1903–36: IV, 15.
"Wenn sich daher dasjenige, wovon es eigentlich nichts Gleiches im ganzen Gebiete des Denkbaren giebt, mit etwas andrem vergleichen lässt, so kann man an den Naturinstinct der Thiere erinnern, und die Sprache einen intellectuellen der Vernunft nennen".

Testo (nota 15): Humboldt 1903–36: VII, 20.
"Die Hervorbringung der Sprache ist ein inneres Bedürfniss der Menschheit, nicht bloss ein äusserliches zur Unterhaltung gemeinschaftlichen Verkehrs, sonder ein in ihrer Natur selbst liegendes, zur Entwicklung ihrer geistigen Kräfte und zur Gewinnung einer Weltanschauung, zu welcher der Mensch nur gelangen kann, indem er sein Denken an dem gemeinschaftlichen Denken mit Anderem zur Klerheit und Bestimmtheit bringt, unentbehrliches".

Nota 27: Hegel 1969–81: X/III, § 459, 271.
" [Der für die bestimmten Vorstellungen sich weiter artikulierende Ton, die Rede, und ihr System,] die Sprache, gibt den Empfindungen, Anschauungen, Vorstellungen, ein zweites, höheres als ihr unmittelbares Dasein, überhaupt eine Existenz, die im Reiche des Vorstellens gilt".

Nota 31: Cassirer, Philosophie der symbolischen Formen, Darmstadt, Erster Teil: Die Sprache, 101–994, 100.
"Humboldt ist zwar im Grunde ein durchaus systematischer Geist; aber er ist jeder bloß äußeren Technik der Systematisierung feind. So geschieht es, daß er im Bestreben, in jedem einzelnen Punkt seiner Untersuchung immer zugleich das Ganze seiner Sprachansicht vor uns hinzustellen, der scharfen und klaren Sonderung dieses Ganzen widerstrebt".

Testo (nota 32): Hegel 1969–81: XII, § 375–76, 535–537.
Die Allgemeinheit, nach welcher das Tier als einzelnes eine endliche Existenz ist, zeigt sich an ihm als die abstrakte Macht in dem Ausgang des selbst abstrakten, innerhalb seiner vorgehenden Prozesses (§ 356). Seine Unangemessenheit zur Allgemeinheit ist seine ursprüngliche Krankheit und [der] angeborene Keim des Todes. Das Aufheben dieser Unangemessenheit ist selbst das Vollstrecken dieses Schicksals. Das Individuum hebt sie auf, indem es der Allgemeinheit seine Einzelheit einbildet [...] Aber diese erreichte Identität mit dem Allgemeinen ist das Aufheben des formellen Gegensatzes, der unmittelbaren Einzelheit und der Allgemeinheit der Individualität, und dies [ist] nur die eine, und zwar die abstrakte Seite, der Tod des Natürlichen. Die Subjektivität ist aber in der Idee des Lebens der Begriff, sie ist so an sich das absolute Insichsein der Wirklichkeit und die konkrete Allgemeinheit; durch das aufgezeigte Aufheben der Unmittelbarkeit ihrer Realität ist sie mit sich selbst zusammengegangen; das letzte Außersichsein der Natur ist aufgehoben, und der in ihr nur an sich seiende Begriff ist damit für sich geworden. –Die Natur ist damit in ihre Wahrheit übergegangen, in die Subjektivität des Begriffs, deren Objektivität selbst die aufgehobene Unmittelbarkeit der Einzelheit, die konkrete Allgemeinheit ist, so das der begriff gesetzt ist, welche die ihm entsprechende Realität, den begriff zu seinem Dasein hat, – der Geist".

Testo (nota 34): Hegel 1969–81: XII, § 369, 516.
"Diese erste Diremtion der Gattung in Arten und die Fortbestimmung derselben zum unmittelbaren ausschließenden Fürsichsein der Einzelheit ist nur ein negatives und feindliches Verhalten gegen ander".

Testo (nota 41): Humboldt 1903–36: VI, 26.
"Schon das Denken ist wesentlich von Neigung zu gesellschaftlichem Daseyn begleitet, und der Mensch sehnt sich, abgesehen von allen körperlichen und Empfindungs-Beziehungen, auch zum Behuf seines blossen Denkens nach einem dem Ich entsprechenden Du, der Begriff scheint ihm erst seine Bestimmtheit und Gewissheit durch das Zurückstrahlen aus einer fremden Denkkraft zu erreichen. Er wird erzeugt, indem er sich aus der bewegten Masse des Vorstellens losreisst, und, dem Subject, allein vorgeht, sondern der Vorstellende den Gedanken wirklich ausser sich erblickt, was nur in einem andren, gleich ihm vorstellenden und denkenden Wesen möglich ist".

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